Gas, scatta l’allarme “definitivo” sulle forniture russe: rischi e scenari

Così come non arresta la sua avanzata militare in territorio ucraino, la Russia non cessa neanche di usare le fonti energetiche, di cui è massima esportatrice, come arma politica. La crisi del mercato delle fonti fossili scatenata dal conflitto ha allargato i suoi effetti nefasti a tutto il mondo, colpendo e minacciando soprattutto l’Europa.

Un vecchio assunto geopolitico recita: “Chi domina l’Europa domina il pianeta”. La Russia, come gli Stati Uniti, lo sa bene. Così come lo sa bene l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), che ha lanciato l’allarme per le forniture di gas dirette verso gli Stati Ue.

L’allarme dell’Agenzia per l’energia sul gas russo

In un’intervista al Financial Times, il presidente dell’Agenzia Faith Birol ha messo in guardia l’Europa che, secondo lui, deve prepararsi immediatamente allo stop completo dei flussi di gas russo. In questo senso i tagli alle forniture decisi da Gazprom nelle settimane precedenti  risultano soltanto la fase preparatoria di una chiusura totale all’Occidente.

“Più avanziamo verso l’inverno, più comprendiamo le intenzioni della Russia”, ha sottolineato Birol. “Credo che i tagli siano orientati a evitare che l’Europa riempia i depositi. Subito l’allarme lanciato dal numero uno dell’Iea, il prezzo del gas naturale al punto di scambio di Amsterdam ha ripreso a salire fino a superare quota 130 euro al MWh.

Germania (particolarmente) a rischio

Come già ribadito in più di un’occasione, la Germania è il Paese europeo a dipendere in misura maggiore dagli approvvigionamenti di energia russi. Per questo motivo il governo tedesco si prepara a dichiarare entro pochi giorni il livello di “allarme” del piano nazionale di emergenza gas. Al momento si trova nella fase 1 detta di “preallarme”, dichiarata a fine marzo.

Questo passaggio a un livello di gravità superiore imporrebbe a imprese e famiglie di ridurre i consumi energetici, attraverso il tanto temuto razionamento.

Quali sono le soluzioni in caso di stop al gas russo?

Secondo Birol, le misure di emergenza adottate in settimana dalle nazioni europee per ridurre la domanda di gas russo, come l’attivazione di vecchie centrali elettriche a carbone, sono state “giustificate dall’entità della crisi, nonostante le preoccupazioni per l’aumento delle emissioni di carbonio”.

Una strategia energetica vincente, sempre secondo l’Iea, dovrebbe prendere in esame tutti i fattori coinvolti e imporre determinate decisioni a livello politico. “Penso che ci saranno misure sempre maggiori e profonde sulla domanda, da parte dei governi, con l’avvicinarsi dell’inverno”. Ma quali sono nel concreto le possibilità per evitare il peggio?

  • Ritardare la chiusura di tutte le centrali nucleari per le quali è stato disposto lo stop, al fine di contribuire a limitare la quantità di gas bruciato nella produzione di energia elettrica.
  • Dare il via ai razionamenti in caso di ulteriori tagli delle forniture russe.
  • Puntare concretamente sulla transizione ecologica. Secondo i calcoli dell’Iea, le nazioni europee non si stanno impegnando abbastanza sul piano degli investimenti energetici totali. Questi ultimi dovrebbero crescere quest’anno dell’8% a 2.400 miliardi di dollari, puntando soprattutto sulle fonti rinnovabili. “Senza politiche per ridurre significativamente il consumo di combustibili fossili, il mondo continuerà ad affrontare pericolose oscillazioni dei prezzi del petrolio e del gas”, ha sentenziato Birol.

Un tetto Ue al prezzo del gas può davvero servire?

L’ipotesi ormai in cantiere da settimane di un tetto europeo al prezzo del gas sembra la più efficace per contrastare la corsa al rialzo delle quotazioni. E non solo dal punto di vista pratico, perché rappresenta anche uno strumento importante per comunicare una posizione univoca dell’Europa tutta nella guerra del gas che Putin ha inaugurato contro il Vecchio Continente.

L’Italia si è particolarmente esposta a favore di questa soluzione, con l’intento dichiarato di limitare unilateralmente il prezzo del gas con un limite massimo stabilito a livello Ue. Una misura non certo intelligente se applicata a livello dei singoli Paesi, dove creerebbe una distorsione asimmetrica del mercato. Il piano italiano prevede il divieto di commerciare gas tra operatori in tutti gli Stati Ue a un prezzo superiore agli 80 euro per megawatt ora (MWh). In questo modo nessuno vorrebbe importarlo a cifre superiori, perché sarebbe un’operazione in perdita.

E l’Italia?

L’Italia è il secondo Paese europeo più dipendente dai flussi provenienti dalla Russia. Ciononostante, lo spettro del razionamento sembra ancora uno scenario lontano e scongiurabile. Tant’è vero che in questi giorni il Comitato tecnico di emergenza sul gas del Ministero della Transizione ecologica ha consigliato al ministro Roberto Cingolani di non alzare il livello da preallerta a quello di allerta.

Per stilare un piano dettagliato e prendere una decisione definitiva, il titolare del dicastero incontrerò le società energetiche, a partire da Eni ed Enel. Il Comitato è formato dai dirigenti del Mite, da rappresentanti dell’Arera e dalle società di trasporto di gas ed elettricità Snam e Terna.

Dalle verifiche, costantemente aggiornate, è emerso che la situazione non è da allarme. Lo stato degli stoccaggi è buono (intorno al 55%) e, nonostante il taglio del 15% della fornitura da Mosca, rimane possibile arrivare al traguardo del 90% entro fine anno. Un livello che permetterebbe di affrontare l’inverno con serenità, in attesa che dal 2023 partano ufficialmente le nuove forniture da Algeria, Azerbaigian e altri Stati africani.

Da dove arriva e da dove arriverà il gas?

Restando in tema, i Paesi che sostituiranno la Russia nelle forniture di gas verso l’Ue (e l’Italia) sono già pronti e stabiliti. In prima battuta il piano europeo prevede un aumento delle importazioni dagli Stati Uniti, che fornirà altri 15 miliardi di metri cubi di Gnl (Gas naturale liquefatto) entro la fine dell’anno, con l’obiettivo di portare le forniture annuali a 50 miliardi di metri cubi entro il 2030. Ma non solo: Bruxelles ha infatti siglato accordi per il gas naturale anche con Israele ed Egitto.

Attualmente, senza considerare gli ultimi tagli annunciati da Gazprom, il nostro Paese importa il 38,2% del gas dalla Russia, il 27,8% dall’Algeria, il 9,5% dall’Azerbaigian, il 4,2% dalla Libia e il 2,9% dal Nord Europa. Invece il 13,1% del gas consumato arriva sotto forma di Gnl soprattutto dal Qatar.

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