Un Piano straordinario per il digitale poggiato su quattro pilastri: sviluppo delle competenze per preparare le professionalità al nuovo modo di lavorare, accelerare il piano triennale per la digitalizzazione della Pubblica amministrazione, incentivare la trasformazione delle imprese e sviluppare in fretta le reti 5G e banda ultrararga.
E’ il succo della proposta presentata da Confindustria Digitale, per bocca del presidente Cesare Avenia, al convegno convegno “Investire, Accelerare, Crescere”, iniziativa realizzata in collaborazione con Luiss Business School. Dal quale si sono levati un grido d’allarme circa il possibile spreco di risorse europee e una richiesta a investire di più e in maniera meglio coordinata. Un evento al quale ha partecipato il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che ha aggiunto il suo punto di vista sul ritardo italiano: “Stiamo disperdendo talenti ma anche risorse”, basti pensare che “la fuga di cervelli all’estero che sta conoscendo l’Italia ci fa perdere circa 14 miliardi all’anno poco meno dell’1% del Pil”.
Un dato mostra il ritardo di spesa digitale da parte del pubblico in Italia: da noi ci si ferma ad appena 85 euro per cittadino, a fronte dei 186 euro della Francia, 323 euro dell’Uk e 207 euro della Germania. Per portarci ai livelli dei nostri partner europei, secondo Avenia, dovremmo almeno raddoppiare gli investimenti pubblici dell’ordine di grandezza dei 10-11 miliardi di euro l’anno. “Investimenti che, come è previsto nel Piano Triennale per la digitalizzazione della Pa, grazie all’effetto combinato di semplificazione dei processi, riqualificazione della spesa, riduzione degli sprechi e delle ridondanze che l’elevata frammentazione ha generato nel corso degli anni, più efficace contrasto all’evasione fiscale, tornano allo Stato come risparmi sulla spesa corrente da indirizzare sui progetti di innovazione.
Un’altra partita da giocare meglio riguarda la gestione dei fondi europei: “Oggi progettiamo poco rispetto alle risorse disponibili e portiamo a compimento ancora meno rispetto a quanto abbiamo progettato. Le risorse messe a disposizione dall’Europa per il settennio 2014-2020, che fanno riferimento diretto all’attuazione dell’Agenda Digitale, ammontano a 3,1 miliardi di euro. Secondo gli dati pubblicati dal sito OpenCoesione (febbraio 2019) sono stati presentati 16.855 progetti, di cui conclusi sono solo il 13%, mentre i progetti in corso sono il 75% e quelli non avviati il 12%. Mancano meno di 18 mesi alla fine del 2020 e di quei miliardi stanziati da Bruxelles c’è il rischio di bruciarne circa il 50% delle risorse: 1 miliardo circa di risorse di cui non si conosce ancora la progettualità che si sommano a 700 milioni dei progetti non ancora avviati”.
“Stiamo disperdendo talenti ma anche risorse”, basti pensare che “la fuga di cervelli all’estero che sta conoscendo l’Italia ci fa perdere circa 14 miliardi all’anno poco meno dell’1% del Pil”. Così il ministro dell’Economia, Giovanni Tria.
“Non si passa al fianco della trasformazione digitale: o ne siamo protagonisti o la subiamo. E se la subiamo il rischio principale, a lungo termine, è politico, non economico”, avverte Tria, parlando alla Business School della Luiss. Ogni rivoluzione economica ha avuto la sua “materia prima”, spiega il ministro, e oggi “l’oro, il carbone, il petrolio sono stati sostituiti dai dati. Dalla massa di informazione creata dipende la capacità di generare innovazione, nuovi servizi, nuove tecnologie”, dice. Differentemente dal passato “la produzione di questa materia prima è indipendente dalla possibilità di utilizzarla, questo nuovo petrolio lo produciamo anche in Italia ma ciò che importa – evidenzia – è chi la possiede realmente e riesce a sfruttarlo”. Da qui il rischio politico e la domanda per Tria è: “come mantenere una forma di sovranità su una risorsa così fluida? Come garantire che come sistema Paese si possa essere non solo utenti ma anche creatori digitali?”. In Ue se ne sta discutendo, riconosce Tria ma “come continente europeo stiamo accumulando un ritardo rispetto ad altri player globali, sia per carenza di infrastrutture digitali sia per la difficoltà delle nostre imprese d’innovazione, delle nostre start up, di trovare un contesto favorevole a crescere e diventare”. Ecco perché il ministro dice di “accogliere molto favorevolmente” l’iniziativa di Confindustria Digitale per un Piano strategico. A riguardo sottolinea: “sono convinto che si vinca la sfida del digitale investendo sulle persone”, occorre “cambiare il nostro modo di concepire le competenze professionali, visto che il 65% dei bambini che iniziano la scuola primaria farà quasi sicuramente un lavoro che al momento ancora non esiste. Le nuove tecnologie chiederanno nuove professioni, non solo occorre ripensare il ruolo dell’informatica nella formazione obbligatorie, ma bisogna essere pronti a investire in una formazione linguistica più diversificata”.
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