Si tratta della misura su cui la Lega ha incentrato buona parte della campagna elettorale per le Politiche dello scorso 4 marzo. Parliamo della “flat tax”, letteralmente “tassa piatta” in italiano, basata su un sistema fiscale non progressivo e quindi calcolata come “aliquota fissa”. Solitamente un sistema del genere si riferisce alle imposte sul reddito familiare, e talvolta sui profitti delle imprese, tassate con un’aliquota fissa. E proprio dalle imprese, annuncia l’economista leghista Alberto Bagnai, neo senatore, si dovrebbe partire con l’applicazione del nuovo regime. Dopo, nel 2020 presumibilmente, arriveranno le famiglie. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.

 Questo sistema di tassazione fu ideato per la prima volta nel 1956 dall’economista statunitense Milton Friedman. Secondo i sostenitori della flat tax, sosterrebbe la crescita economica: ad oggi, è in vigore in Russia e in alcuni Paesi dell’Est Europa. In Italia, negli anni, il dibattito si è riacceso periodicamente: ad esempio, la sua introduzione venne propugnata da Silvio Berlusconi nel 1994, quando propose un’aliquota del 33% (con una no-tax area per i più poveri) al posto dell’Irpef progressiva. La flat tax è poi tornata come tema politico fino a essere ribadita con forza appunto nell’ultima campagna elettorale da Berlusconi stesso e dal leader della Lega Matteo Salvini. Dopo il voto del 4 marzo, la flat tax è quindi entrata nel contratto stipulato dalla Lega assieme ai 5 Stelle.

 sostanza si prevede l’introduzione di due aliquote fisse al 15% e al 20% per persone fisiche, partite Iva, imprese e famiglie. Per questo qualcuno parla di “dual tax” anziché di “flat tax” vera e propria. La riforma punterebbe appunto su due aliquote secche, il 15% per i redditi familiari fino a 80mila euro e il 20% per quelli superiori. Una rivoluzione rispetto all’Irpef attuale, anche perché così si manderebbe in soffitta il sistema attuale delle aliquote cosiddette marginali:. il 20%, in altri termini, sarebbe applicato a tutto il reddito delle famiglie che superano la soglia degli 80mila euro.

Il neo ministro dell’Economia, Giovanni Tria, non è contrario alla proposta di flat tax, ma suggerisce di far scattare le clausole di salvaguardia, e quindi l’aumento dell’Iva, per finanziarla.

 Una delle obiezioni è sulla legittimità stessa della flat tax: l’articolo 53 della Costituzione sancisce che il sistema tributario debba essere caratterizzato dalla progressività della tassazione in base alla capacità contributiva dei cittadini. Per la ricerca della progressività, interverrebbe l’architettura a tre livelli delle deduzioni da 3mila euro: applicate a ogni componente del nucleo familiare fino a 35mila euro di reddito complessivo, solo ai familiari a carico nella fascia 35-50mila per scomparire quando le entrate dichiarate sono più alte. I sostenitori della “tassa piatta” ribadiscono che così tutti i cittadini pagherebbero le tasse e tutti pagherebbero meno tasse rispetto ad adesso, con conseguente riduzione di evasione fiscale ed elusione. Ma un altro punto critico è che una sorta di flat tax esisterebbe già per le società che pagano l’Ires con una sola aliquota al 24%.

IL SISTEMA ATTUALE – Oggi invece ci sono 5 aliquote e altrettanti scaglioni Irpef. Il primo scaglione comprende i contribuenti con un reddito compreso tra 0 e 15.000 euro l’anno. In questo caso l’aliquota Irpef è del 23%, che corrisponde – nel caso di massimo reddito per questa fascia, 15.000 euro – a una tassazione di 3.450 euro. Nella prima fascia sono ricompresi tutti i lavoratori che percepiscono un reddito non superiore a 1.250 euro. Il secondo scaglione Irpef è quello che comprende i redditi tra da 15.001 a 28.000 euro. L’aliquota riservata a questa fascia è del 27%, con una tassazione – nel caso di reddito più alto – di 6.960 euro. Sono rappresentati da tale categoria le persone con reddito mensile non superiore a 2.335 euro. Il terzo scaglione è compreso tra 28.001 e 55.000 euro, per contribuenti con un reddito massimo di 4.583 euro. L’aliquota Irpef è fissata al 38% sulla soglia eccedente la seconda (ossia si applica il 38% solo per la quota di reddito che supera i 28mila euro, ai quali si applica l’aliquota precedente del 27%). Il quarto coinvolge tutti i contribuenti da 55.001 a 75.000 euro, che presentano un reddito mensile non superiore a 6.250 euro: l’aliquota sulla quota eccedente lo scaglione precedente è del 41%. Infine oltre i 75.000 euro di reddito, ovvero per il quinto e ultimo scaglione di reddito, l’aliquota Irpef è pari al 43%. I contribuenti facoltosi, che percepiscono un reddito annuo eccedente i 75mila euro, devono corrispondere 25.420 euro più il 43% sul reddito eccedente. Un sistema effettivamente complesso che la flat tax di Lega e 5 Stelle punta a cancellare.

 Attualmente in Europa solo i Paesi dell’Est applicano una flat tax. Le tre repubbliche baltiche – Estonia (fin dagli anni Novanta), Lettonia e Lituania – sono tra le principali sostenitrici del regime fiscale semplificato, con aliquote rispettivamente del 24, 25 e 33%. Poi Russia (13%), Ucraina (15% dal 2017), Romania (16%), Macedonia (12%), Albania e Bulgaria (10%). Particolari i casi di Repubblica Ceca e Slovacchia. La prima rappresenta l’emblema della flat tax soprattutto se si considera l’assenza di una no-tax area o detrazioni specifiche. Secondo i calcoli degli esperti, nella Repubblica Ceca i vantaggi sono solo per coloro che hanno redditi superiori a 55mila corone lorde, stipendio medio che solo i lavoratori di Praga centro possono vantare. Per chi è al di sotto di questa fascia di reddito, ci sono solo svantaggi. In Slovacchia, invece, la flat tax è stata in vigore fino al 2013 (aliquota al 19%), quando poi è stata abolita dopo aver ridotto disoccupazione e debito pubblico.