Eurispes: 22 miliardi di euro la stima della penetrazione mafiosa nel settore agroalimentare

Si è svolto a Tempio Pausania, in Sardegna, presso la sede regionale dell’Eurispes, il seminario di approfondimento dal titolo: ‘La mafia nel piatto – Ovvero la penetrazione mafiosa nel settore agroalimentare’, promosso da Eurispes, dall’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare e dalla Coldiretti Sardegna.

Nel suo intervento, il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, ha evidenziato che la mafia è un’ipoteca enorme sullo sviluppo del nostro Paese. Ha la capacità di adeguarsi ai nuovi mercati e alle nuove tecnologie con rapidità e adattamento immediato. Dal 1993 l’Eurispes studia il fenomeno della mafia nel settore agroalimentare, che consente di produrre ingenti guadagni incorrendo in rischi relativamente bassi. L’impatto complessivo dell’infiltrazione mafiosa nel settore, in ogni ambito della filiera dalla produzione ai supermercati è stimato per difetto a 22 miliardi di euro all’anno. Basti pensare che il 50% dei beni sequestrati alle mafie nel 2016 sono terreni agricoli. Nello stesso anno sono stati scoperti 80 distretti agricoli nei quali veniva sfruttato il lavoro nero e nei quali le condizioni salariali e orarie erano ben al di sotto della soglia minima legale. La Guarda di Finanza ha sequestrato 4 milioni di chilogrammi di beni oggetto di frodi e 848 mila litri di bevande alcoliche e analcoliche illegali. Per capire ulteriormente la portata del fenomeno, sempre nel 2016, i Carabinieri dei NAS hanno effettuato oltre 33mila controlli nell’ambito della filiera alimentare scoprendo violazioni più o meno gravi in oltre il 30% dei casi. Sono stati effettuati 18 arresti e oltre 9 mila sanzioni amministrative. L’ ha evidenziato la presenza di almeno 5 mila esercizi commerciali gestiti da organizzazioni criminali e mafiose”.

L’ex procuratore Gian Carlo Caselli, oggi presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, ha invece sottolineato che: ‘Nonostante l’Italia sia l’unico Paese al mondo che punisce la Mafia anche come associazione criminale in sé, la normativa vigente non è sufficiente a contrastare l’attività mafiosa odierna che si avvale di nuovi mercati e nuove tecnologie per eludere il sistema legale e realizzare profitti anche nel settore agroalimentare. L’appeal del Made in Italy e il fatto che il contributo dell’agricoltura al PIL è determinante rappresenta terreno fertile per le associazioni mafiose e criminali perché il settore tira e attira ai fini di lucro’.

Le organizzazioni criminali acquisiscono terreni in prima persona o tramite prestanome, gestiscono il mercato idrico, effettuano concorrenza sleale, trasportano le merci dai campi ai mercati, gestiscono mercati di indotti quali sacchetti di plastica (spesso nociva) e cassette, gestiscono la commercializzazione dei prodotti, impongono marchi e prodotti a esercizi commerciali che condizionano e gestiscono o rilevano, gestiscono punti di ristoro, orientano campagne pubblicitarie e condizionano ricerche sulla qualità dei prodotti, rastrellano finanziamenti pubblici specialmente dell’Ue e gestiscono i mercati ortofrutticoli.

Gli effetti deleteri di queste attività sono una concorrenza drogata che crea un monopolio criminale a scapito degli imprenditori agricoli onesti che vengono emarginati e danneggiati. I rischi si riflettono sulla qualità dei prodotti e la salute dei consumatori. La conseguenza indiretta della penetrazione criminale nel mondo agroalimentare si manifesta in fenomeni quali la contraffazione e ‘l’Italian Sounding’ ovvero l’invasione nei nostri supermercati di prodotti che blandiscono una finta appartenenza al nostro territorio nazionale con bandiere tricolori e scritte che richiamano ai nostri sapori pur non essendo prodotti in Italia. Questo business che vale 60 miliardi all’anno causa la perdita di oltre 200 mila posti di lavoro.

Occorre attuare la proposta di riforma che è stata consegnata al ministro della Giustizia Orlando a ottobre del 2015 e che giace inascoltata in Consiglio dei Ministri. Il progetto, elaborato da un tavolo Istituzionale formato da autorità di ogni ambito, prevede l’introduzione di 49 articoli per la riforma dei reati agroalimentari e prevede importanti novità. In primis si pone l’enfasi sull’etichettatura ‘narrante’ ovvero in grado di spiegare la verità sulla provenienza dei prodotti. Sul versante processuale si propongono maggiori spazi per le intercettazioni telefoniche, minori tempi processuali e nuove tecniche di accertamento della genuinità dei prodotti. La riforma è nel cassetto del Ministero da due anni e non vorremmo che qualcuno remasse contro la sua approvazione.

Successivamente, Ermanno Mazzetti, direttore della Coldiretti di Sassari, ha sottolineato il bisogno di eticità imprenditoriale e di etichettatura obbligatoria, mentre Il Generale Bruno Bartoloni, Comandante Regionale della Guardia di Finanza, ha evidenziato che la criminalità, nel settore agroalimentare, non è legata soltanto alla mafia ma anche ad altre organizzazioni che alimentano l’illegalità senza rientrare nel 416 bis. Il fulcro della mafia è nelle campagne, dove parte la cultura criminale che si è poi globalizzata e insinuata nelle città.

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