Enrico Letta tra ‘The Guardian’ e la Via della Seta

L’economista e politologo Edward Luttwak ricorda che, dal punto di vista dottrinario, l’Italia, come alleato degli Stati Uniti, può richiedere agli Usa i nomi della lista, compilata da un analista, di politici e partiti di 20 Paesi che avrebbero ricevuto denaro dalla Russia – oltre 300 milioni di dollari dal 2014 – per creare una rete di consenso e di sostegno attorno a Mosca.

Ma Luttwak, pur sottolineando che, “evidentemente ci sono anche italiani” tra i politici “che prendono soldi dai russi, ed anche dai cinesi”, avverte che, in questo rapporto, “non c’è una lista di nomi”, ma si tratta di una “stima fatta da un analista sulla base di specifiche informazioni riguardo specifici individui in diversi Paesi per rispondere a una domanda del Congresso”.

“Quest’analista – spiega Edward Luttwak – non ha messo i nomi, ma ha calcolato il totale per vedere il livello dello sforzo russo per influenzare la politica occidentale”.

Tuttavia “le informazioni alla base del rapporto sono a disposizione degli alleati degli Usa come l’Italia”. Come? “Il Copasir può chiedere alla vostra intelligence – ipotizza il politologo – di domandare a sua volta ai colleghi americani di darle i nomi dei politici che prendono soldi dai russi, e anche dai cinesi”.

Secondo il politologo, le informazioni del rapporto, stilato su indicazione del Congresso che – a “proposito dei russi che corrompono i politici” voleva sapere se questo fenomeno fosse “enorme o insignificante” – “non aggiungono niente dal punto di vista del governo italiano“, ma sotto elezioni “ricordano” agli elettori che “certi politici italiani si sono distinti perché – unici a farlo in Europa – parlano bene della Cina, mentre altri parlano bene di Putin”.

Sulla visita a Washington del presidente del Copasir, Adolfo Urso, Luttwak sottolinea come quest’istituzione, malgrado “i problemi” dell’Italia, sia “ben conosciuta” e abbia una “buona reputazione” negli ambienti della capitale americana in quanto “non rivela segreti” ed è sempre stata guidata con “professionalità”. Lo era “con D’Alema e ora con Urso sta mantenendo questa tradizione”.

Secondo il politologo, la visita dell’esponente di Fdi ha l’obiettivo in un certo senso di accreditare Giorgia Meloni a Washington.

“Urso è una persona seria e ha fatto una presentazione seria su chi arriva al potere in Italia. – conclude – Meloni è presa molto sul serio qui perché è sempre concreta, specifica, professionale. Vuol dire che studia i dossier, che li studia per ore ed è rassicurante avere qualcuno che lavora in questo modo”.

Il ruolo nella società cinese Tojoy, della quale era co-presidente per l’Europa occidentale, e quello nella società britannica, Liberty Zeta Limited, a sua volta legata alla Glendower Capital LLP, che vede tra i soci anche un paio di società con sede in paradisi fiscali come il New Jersey e il Delaware. Nel recente passato di Enrico Letta c’è più di un incarico che rischia di essere politicamente scivoloso, soprattutto per chi, come lui, è sempre pronto a chiedere conto dei legami e degli affari altrui. A farlo notare è oggi Il Giornale, in un articolo dal titolo «Gli ex soci cinesi del leader Pd? Stanno nei paradisi fiscali che rubano 6 miliardi all’Italia».

Il Giornale ricostruisce i legami del segretario Pd con la Tojoy e con la Liberty, ricordando poi anche la sua esperienza francese con la Equanim, già emersa a luglio 2011 a opera di un’inchiesta del Domani,  che dava conto di questi legami e a seguito della quale qualcuno notò che il segretario Pd forse avrebbe dovuto raccontare il trascorso ‘cinese’. Più nel dettaglio «l’8 agosto 2019 la cinese Tojoy guidata da Lu Junqing lo ha nominato (Letta, ndr) co-presidente di Tojoy Western Europe, satellite della Tojoy Sharing group, azienda legata al presidente cinese Xi Jinping, il cui obiettivo è allacciare rapporti con le imprese europee per convogliarle nella Via della Seta, strada tracciata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Che per i documenti della diplomazia Usa pubblicati dal Giornale è uno dei cavalli di Troia di Pechino».

Dunque, alla luce dell’inchiesta del Giornale a chiedere chiarezza, e su qualcosa di più concreto di un papiello di cui nessuno conosceva il contenuto, ora è FdI. «Letta agente della Via della Seta cinese e, secondo quanto riportato dalla stampa nazionale, a libro paga di una società cinese che fa capo indirettamente a XI Jinping è notizia allarmante e agghiacciante», ha commentato il capogruppo in commissione Esteri alla Camera, Andrea Delmastro. «Letta chiarisca subito», ha aggiunto, sottolineando che «dal chiarimento della natura di quei rapporti economici dipende il grado di indipendenza e autonomia che la sinistra può assicurare all’Italia e l’affidabilità della collocazione atlantica».

Per Galeazzo Bignami, deputato e responsabile del dipartimento imprese produttive di FdI, poi, «le rivelazioni de Il Giornale dimostrano l’ipocrisia del Pd e del suo segretario Enrico Letta che in Italia propone una fiscalità progressiva e oppressiva, ma che per se stesso riserva ed alle sue società paradisi fiscali come il Delaware, dove si può nascondere il denaro meglio che a Panama, così come scritto da The Guardian». «Non meno gravi sono le rivelazioni sul coinvolgimento di Letta in società di diretta emanazione del regime comunista cinese e del loro coinvolgimento nella realizzazione della nuova Via della Seta», ha aggiunto Bignami, chiedendo a sua volta chiarimenti.

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