Enrico Letta per un centrosinistra vicino a Renzi ma distante dai Cinque Stelle

Sono passati ben sette anni dal famoso #Enricostaisereno e dal contestuale voto contrario della Direzione del Pd al governo guidato da Letta, sette anni da quella campanella g che quest’ultimo consegnò qualche giorno dopo a Renzi.

Dopo sette anni Letta ha amnistiato Renzi: ‘È utile incontrarlo’.

Il confronto Letta-Renzi sarà un fatto politico di prima grandezza lasciando a parte propositi distruttivi. Letta ha fatto il primo passo per mettere  insieme una coalizione larga di centrosinistra non imperniata su Conte ma sui contenuti, aperta ai riformisti di Italia viva. Da parte sua il Pd  la smetterà di inseguire l’avvocato del popolo e considerare il M5s il principale se non l’esclusivo punto di riferimento di un’alleanza definita sin qui ‘strategica’. È probabile che l’ex segretario del Pd dirà al nuovo segretario del Pd che manca ancora molto tempo alle elezioni, ma che comunque si è aperta una fase nuova in cui alla stagnante subalternità del biennio zingarettiano si va sostituendo una fase più dinamica, di apertura. Renzi però ha il non piccolo problema di mettere ordine nel suo campo prima di avventurarsi in nuove strategie, soprattutto se disegnate da altri. Bisognerà, poi verificare, se  tiene un’intesa su una legge elettorale maggioritaria, come Renzi preferisce.

Renzi si è espresso in questo modo:  ‘Enrico Letta è rientrato in campo e ha delineato un profilo riformista, molto diverso dal recente passato, a cominciare dalla legge elettorale e dal rapporto con i Cinque Stelle. Vediamo se dalle parole si passerà ai fatti’.

Non per niente nel suo discorso all’Assemblea nazionale Letta ha parlato di un centrosinistra da ricostruire autonomamente da un lato, dall’altro di un nuovo Movimento 5 stelle a guida contiana con cui, dopo, il centrosinistra andrebbe a discutere.

Un’impostazione chiara, lineare e razionale.

Definire, come vuole fare Enrico Letta ‘i termini di una alleanza’ con i Cinquestelle, significa entrare a gamba tesa su due elementi fondanti della loro identità: il giustizialismo e un ambientalismo intriso della cultura pre industriale e all’insegna di una politica dei ‘no’.

Enrico Letta lo sa, ma sarebbe stato meglio avesse posto da subito le basi di questo chiarimento che comunque è inevitabile. Tanto più che la svolta imposta al Movimento da Beppe Grillo, per fargli accettare l’ingresso nel governo Draghi, sembra un trucco di scena da guitto.

L’avvio di un Ministero della Transizione Ecologica e il suo appuntamento messianico al 2050 possono infatti dire tutto o nulla. Il problema è nella scelta delle strategie, sulle quali ovviamente Grillo glissa e che sono quelle loro di sempre: no a tutto, dalla Gronda di Genova in su.

Il problema che Enrico Letta dovrà porre ai Cinquestelle per allearsi è quello di stabilire se sono d’accordo o no col Partito democratico con l’impianto dei termovalorizzatori per risolvere il problema dei rifiuti. Il Partito democratico è per i termo valorizzatori. Loro non lo sono.

Se sono d’accordo o no sul via libera alle trivelle italiane nell’Adriatico. I dem sono d’accordo. Loro non lo sono.

Se la smettono di pensare che l’Ilva deve diventare un parco giochi e smettere di produrre acciaio. Non la smettono. Il Partito democratico invece lavora a una soluzione industriale.

Se sono d’accordo strategicamente, non perché è troppo tardi, sulla Tav e sulla Tap. Il Partito democratico le vuole. Loro no.

Se sono d’accordo con le Olimpiadi in Italia. I dem le vogliono. Loro le hanno affossate.

Se sono d’accordo con lo stadio della Roma. Hanno affossato anche questo.

Se la smettono di credere che il problema della viabilità si risolva con i monopattini che hanno finanziato con incredibili contributi a pioggia: non lo faranno.

Non stupisce che Nicola Zingaretti e  Goffredo Bettini non si siano neanche accorti di queste discriminanti. Ora spetta a Letta affrontarle e imporle ai Cinquestelle.

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