«Un autogol prevedibile – osserva Giorgio Gori, eurodeputato ed ex sindaco di Bergamo – che andava evitato, il Pd sì è infilato in una battaglia ideologica e anacronistica». Sulla stessa linea Lia Quartapelle che su Facebook bolla l’avventura alle urne: «Una battaglia identitaria rivolta al passato». Pina Picierno non sfoggia toni diplomatici: «Una sconfitta profonda, seria, evitabile». La resa dei conti è rinviata, si litigherà dentro il Nazareno per un referendum contro il governo ma anche contro l’ala riformista del Pd.
I riformisti avevano battezzato il Jobs Act dieci anni fa, ai tempi dell’esecutivo Renzi e quell’impianto normativo è stato in parte modificato e superato da interventi legislativi e della Corte costituzionale, ma Schlein ha seguito il leader della Cgil Maurizio Landini, primo responsabile della sconfitta. Questo risultato disastroso segnerà il futuro di Elly Schlein anche se la segretaria tiene saldamente in mano il partito e rilancia e difende il risultato: «Grazie alle oltre 14 milioni di persone che hanno deciso di votare e a tutti coloro che si sono mobilitati per far contare il voto dei cittadini. Peccato per il mancato raggiungimento del quorum, sapevamo che sarebbe stato difficile arrivarci, ma i referendum toccavano questioni che riguardano la vita di milioni di persone ed era giusto spendersi nella campagna, a fianco dei promotori». Nessuna autocritica ma un affondo contro Palazzo Chigi: «Hanno ben poco da festeggiare: per questi referendum hanno votato più elettori di quelli che hanno votato la destra mandando Meloni al governo nel 2022». La Schlein si intesta tutti gli elettori, sommando sia chi ha votato «sì» che «no», e fissa il prossimo traguardo: «Ne riparleremo alle prossime politiche».
“Quando si fa un referendum lo si fa per raggiungere il quorum, ma si sapeva che era difficilissimo, anche perché la presidente del Consiglio e il presidente del Senato avevano deciso di alimentare la sfiducia nella partecipazione”, ha detto ai microfoni dei cronisti Francesco Boccia, capogruppo del Pd al Senato. L’affluenza definitiva ai referendum è stata del 30,6%. Il quorum non è arrivato, ma per i dem c’era un altro obiettivo: “Noi speravamo che andassero a votare più delle 12 milioni e 300mila persone che hanno consentito a Giorgia Meloni di essere a Palazzo Chigi e così è stato. Tra l’altro su due temi identitari, lavoro e cittadinanza. Quindi per noi un ottimo risultato”.
“Ovviamente abbiamo lavorato per raggiungere il quorum”, ma il Pd ora cerca di sottolineare che comunque sono andate alle urne più persone di quelle che, alle elezioni del 2022, votarono per il centrodestra. Anche considerando solo chi ha votato Sì, abbracciando le posizioni del centrosinistra sui quesiti, il numero dovrebbe essere simile a quello di elettori di Lega, FI e FdI tre anni fa. “Sappiamo che l’enorme massa di elettori che unitariamente hanno scelto di dare un segnale ci consente in qualsiasi momento di affrontare Giorgia Meloni a viso aperto in qualsiasi competizione elettorale”, tira le somme Boccia.
Vero è che l’Italia è un paese dalla campagna elettorale permanente, ma paragonare i voti del referendum con quelli delle politiche del 2022 è fuori di ogni logica politica e pratica. «Purtroppo – spiega Picierno – questo è un regalo enorme a Giorgia Meloni e alle destre». Picierno, che molti considerano la possibile alternativa centrista a Schlein, non si ferma qui: «Fuori dalla nostra bolla c’è un Paese che vuole futuro e non rese dei conti sul passato. Ora maturità, serietà e ascolto, evitando acrobazie assolutorie sui numeri».
La vicepresidente del Parlamento europeo fa parte di chi nel partito democratico avrebbero voluto tagliare il cordone ombelicale con la Cgil e che alle urne hanno scelto soluzioni diverse da quelle predicate dalla segretaria del partito. Picierno aveva rifiutato tre schede su cinque e come lei altri avevano abbandonato la linea della Schlein. Nel Pd potrebbe cominciare un altro match per la conquista della segreteria.