Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (s) e il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, durante la conferenza stampa al termine del Consiglio dei Ministri a Palazzo Chigi, Roma, 10 maggio 2016. ANSA/GIORGIO ONORATI

Elezioni, raggiunto l’accordo per il Terzo polo

I draghiani contrari al  bipopulismo, lontani dal Pd hanno la possibilità di costruire un’alternativa politica seria.  Se ci riuscissero, il voto a Renzi,   a Calenda, Mara Carfagna e  Elena Bonetti è l’unico voto esattamente draghiano a disposizione degli italiani. Un voto che consentirebbe la presenza in Parlamento di una pattuglia di deputati e senatori che non sarà soltanto una testimonianza utile e necessaria, ma anche un fattore decisivo di produzione politica perché l’unico impermeabile al populismo e al sovranismo degli altri.

La condizione è che non si tratti soltanto di un’alleanza elettorale o di un cessate il fuoco temporaneo tra Renzi e Calenda per mancanza di alternative, come appare al momento, ma al contrario il primo passo verso la costruzione di un partito liberaldemocratico europeo e atlantico in grado di offrire un’alternativa di governo alla confusione programmatica del Pd e a Fratelli d’Italia e Lega.

Un Terzo Polo guidato da Renzi e Calenda i cui nomi potrebbero comparire nel simbolo della lista alternativa alla destra sovranista e alla sinistra che non è riuscita ad allargarsi oltre i suoi confini storici.

È stata una gestazione lunga e faticosa, ore e ore a trattare sui seggi in un’estenuante maratona che ha messo a dura prova i negoziatori delle due formazioni politiche, peraltro tutta gente che si conosce da anni.

Renzi, in un confronto a La Stampa, ha sintetizzato il senso dell’operazione: «Se il centro va bene al proporzionale, Mario Draghi continuerà a fare il premier. Sarà un autunno duro e il Patto di stabilità in Europa va rivisto. Meglio che con gli olandesi, che sono tosti, vada a trattare la Meloni o Draghi?». Su questo la sintonia con Calenda è stata piena:  “Io sono il leader di questa campagna elettorale, rimane l’autonomia dei partiti”, dice Calenda commentando l’accordo elettorale.

Nella nuova emergenza che ci sarà nei prossimi mesi con l’inflazione che continua a salire, come certificato  dall’Istat,  è probabile che ci vorrà una rinegoziazione del Patto di stabilità mentre al tempo stesso bisognerà tenere i conti a posto per non perdere i fondi del Pnrr.  Una missione altamente  difficile.

I terzopolisti calano la carta di Mario Draghi  che  è il più autorevole per affrontare una situazione che come detto si preannuncia molto seria.

La grande scommessa dei terzisti è togliere voti alla destra e anche al Pd per poter poi lavorare sulla permanenza di Mario Draghi  a Palazzo Chigi.

Enrico Letta che sta costruendo la campagna del Pd e dei suoi alleati proprio sull’alternativa «o noi o la Meloni», che poi significa «o io o lei».

Renzi getta sul tavolo un dilemma diverso, o Draghi o Meloni, che potrebbe essere uno slogan che funziona. Ovviamente a patto che l’operazione Terzo Polo funzioni, nella battaglia contro tutti e in primo luogo contro lo scetticismo di chi pensa che la diarchia Calenda-Renzi non funzionerà, e non è che obiettivamente i due non abbiano fornito argomenti a sostegno di questa tesi.

In un sistema elettorale che  assegna due terzi dei parlamentari col sistema proporzionale, potrebbe essere la pietra d’inciampo per un bipolarismo che in questi anni ha fallito la prova.

E’ necessario capire che Renzi + Calenda in coalizione o sotto l’ombrello di un’unica lista valgono al massimo in tutto il cinque per cento. Ci si domanda perché i quotidiani più importanti gli attribuiscono il valore politico del loro minuscolo approdo come fosse la scoperta dell’atomica? I due campioni vengono da sinistra e lì torneranno.  Matteo Renzi è  detestato  dai compagni per averli abbandonati per fondare Italia Viva, anche se  ha avuto il merito di tagliare la testa al Conte-bis e darci Mario Draghi ed è  stato sempre lui con le sue capacità acrobatiche  a confermare al Quirinale Sergio Mattarella. Silvio Berlusconi, come ha scritto Libero in prima pagina, gli ha proposto di tirare le conseguenze di quanto aveva lasciato intravvedere in certi momenti autenticamente liberali, e di allearsi con lui: niente da fare.

Carlo Calenda ha dimostrato di essere a disposizione di qualsiasi elicottero che lo portasse in alto, ed è stato  con Montezemolo alla Ferrari e in Confindustria, poi alla prima pratica da manager non di rappresentanza ma di sostanza, ha fallito fragorosamente: l’Interporto di Nola, affidato alle sue cure da Gianni Punzo, imprenditore napoletano, è naufragato, lui no perché se n’è uscito con una bella liquidazione. In politica doveva  candidarsi con Montezemolo, ritiratosi il quale, si è messo in lista nel 2013 con Mario Monti: non fu eletto dal popolo, un po’ come il Pd, che infatti lo scelse prima come viceministro allo Sviluppo economico (governo Letta) e poi ambasciatore a Bruxelles (governo Renzi), quindi ritornò a Roma stavolta da ministro approfittando delle dimissioni di Federica Guidi, che non era né indagata, ma la diffusione indebita di una intercettazione privata, fu benessere per il politico dei Parioli. Nel marzo 2018 prese la tessera del Partito democratico, che lo candidò nel Nord-Est alle Europee del 2019. Dopo un giorno se ne andò per stare con il gruppo di Macron. Si è candidato a sindaco di Roma, con una campagna contro Roberto Gualtieri (Pd), salvo poi appoggiarlo clamorosamente al ballottaggio. Entrambi, Renzi e Calenda, sperano che questo Terzo Polo attiri il popolo ingenuo che spera che possa succhiare linfa al centrodestra.  Cosa confessata candidamente a La7. Gli elettori di centrodestra hanno capito bene che  Renzi+Calenda=Pd.

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