È Amleto, è Shakespeare. Ed è EsosTheatre. Decisamente è EsosTheatre

 

Messina – La scena scende in sala, liquefacendosi in mille rivoli in mezzo alla platea. Gertrude, Ofelia, Polonio, Claudio, Fortebraccio, Orazio, Laerte, Rosencrantz, Guilderstern, la compagnia di girovaghi … sono tutti lì, tra gli spettatori. Il principe è invece su quel palco che di colpo assume sembiante di deserto, quasi fosse scomparso – eppure c’è ancora – perfino il trono. Lui è solo e scarnificato. Appena una maschera di biacca bianca, e poi braccia petto schiena nudi. ‘Essere o non essere’ dice. ‘To be or not to be’. In italiano, in inglese. Una volta, due volte, cinque volte, sei. Non vede e non sente. Ma gli altri – personaggi e spettatori – non vedono e non sentono che lui.

È Amleto, è Shakespeare. Ed è EsosTheatre. Decisamente è EsosTheatre.

‘Hamlet. The Gothic Musical’ di EsosTheatre, il Teatro degli Esoscheletri di Sasà Neri, con Claudia Bertuccelli alle coreografie, Giulio Decembrini alla direzione musicale e Chiara Caravella vocal coach, è performance nuova. Caos e ordine vi si inseguono ininterrottamente. La rappresentazione è un’anticlimax continuo, praticamente insostenibile. Solo canzoni e danze consentono un attimo di tregua, il tempo di ricomporre le proprie emozioni di spettatori che si ritrovano protagonisti, a volte direttamente sotto le luci di scena, addirittura personalmente sul palcoscenico.

È nella replica delle ore 21, la quarta di una giornata interamente dedicata alla performance, che questo ‘Hamlet’ trova massima compiutezza, con fili invisibili che tengono stretti palco e platea. Eppure il pubblico ha applaudito sempre, anche al debutto assoluto in matinèe per la scuola, alle 9:30 del mattino, anche allo spettacolo delle 11:30 e anche, nonostante sia stata la replica meno emozionata, a quello delle 17:30.

Ma il Teatro degli Esoscheletri è così. Nell’arco di poche ore si trasforma, si sgretola, si ricompone. E ogni volta la storia non ricomincia, è un’altra.

Amleto è Giacomo Cimino, la sua bellezza echeggia fragilità, la sua voce bassa e rauca diventa melodia potente, nel recitato come nei canti. Il suo Principe è drago e servo allo stesso tempo, ed è bimbo nelle braccia del padre fantasma, un Leonardo Mercadante che appare gigantesco e magnifico e terribile.

La regia non lo dice, ma mentre la performance si sviluppa, il Rosencrantz di Gabriele Casablanca e il Guilderstern di Leonardo Wanderlingh perdono i connotati e appaiono anche loro frammenti, frammenti di Amleto appunto, e protagonisti contro ogni pronostico. Così come Marco Blandina e i suoi due becchini, che interpreta faccia a faccia con se stesso, appaiono coro greco, narratori involontari in alter ego al Fortebraccio di Giorgio Galipò ch’è rigore e sobrietà shakesperiana.

E mentre il Claudio tralignante ed elettrico di Davide Colnaghi assomma alla squisitezza della recitazione un controcanto di muscoli contratti, il corvo di Gianluca Minissale sembra reggere le sorti di tutto lo spettacolo, di tutta la storia, armato e leggiadro allo stesso tempo, presenza che non lascia scampo,    complice diretto di Luciano Accordi, sempre in scena, capace di giocare a rimpiattino con le battute altrui, arrivato in teatro da Londra pochi minuti prima dell’apertura del sipario delle ore 21.

E poi c’è Ofelia. Martina La Rosa è, fanciulla imprigionata nel gioco della vita, convulsa, tremante, e sempre più isolata, sempre più tradita. E poi c’è Ofelia. Ci sono le sue anime: Marea Mammano, la sua figura eterea che canta a cappella e diventa forza, potenza; Claudia AragonaCristina Dainotti, Chiara Frisone, Enrica La Rosa, Federica Sidoti, ognuna diversa, ognuna con un grado in più o in meno di innocenza e di follia.  C’è Gertrude. Alice Ingegneri è una regina-marionetta, ossessiva, rituale, tragica. E c’è Gertrude. Ci sono i suoi frammenti: Alessandra Borgosano, Nancy Catalano, Maria Smeralda De Luca, Margherita Frisone e Viviana Romano, ognuna diversa, ognuna con un grado in più o in meno di colpa e di consapevolezza.

Intanto ci si sorprende del Laerte di Riccardo Ingegneri che diventa adulto, e rabbioso, e sperduto davanti agli occhi del pubblico. Ci si fa contagiare dal Polonio di Giuseppe Lo Presti che acquista la forma spezzata di incubo.  Si sussulta per le incursioni del giullare di Noel Sailor Iai, puro spirito che s’addensa grave.  Si assiste impotenti alla lotta a distanza  tra gli attori girovaghi (Laura Fiorello, Giorgia Galati, Gabriella Giachinta e Ninetta Napoli), figure contorte che si alleano con l’uno o l’altro dei protagonisti, e le voci nitide di Alice Camardella  (il sacerdote) e Salvatore La Spada (Bernardo), che hanno il compito di ricondurre la storia alla follia della realtà. E alla fine ci si commuove per l’Orazio di Simone Siclari che canta la speranza fino a costringere Amleto, i suoi nemici, i suoi amici, i suoi spettatori, a cantarla con lui.

Foto di Dino Costa

Blackcap

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