Due miliardi di persone nel mondo non hanno acqua potabile

L’accesso all’acqua potabile è un diritto negato a quasi un miliardo di persone nel mondo. E si stima che, sempre a livello globale, 3,5 miliardi di persone non vedano il loro diritto all’acqua potabile pienamente soddisfatto. Una situazione drammatica che riguarda specialmente il Sud del mondo. È qui infatti che si trovano i Paesi che non hanno acqua potabile.

La terra è la prima a risentirne: mancanza di acqua potabile significa anche suolo arido e improduttivo, dove l’agricoltura diventa impraticabile. E, soprattutto, a risentirne è la salute delle persone che vivono in queste zone: procurarsi acqua da fonti non sicure aumenta il rischio di contrarre una di quelle che vengono chiamate malattie della povertà.

Nei casi in cui l’acqua potabile c’è, spesso si trova molto lontana dai centri abitati. Per procurarsela bisogna affrontare un lungo cammino, anche di 4-5 ore al giorno. Un compito che di solito spetta alle donne e alle ragazze.La terra è la prima a risentirne: mancanza di acqua potabile significa anche suolo arido e improduttivo, dove l’agricoltura diventa impraticabile. E, soprattutto, a risentirne è la salute delle persone che vivono in queste zone: procurarsi acqua da fonti non sicure aumenta il rischio di contrarre una di quelle che vengono chiamate malattie della povertà.

Nei casi in cui l’acqua potabile c’è, spesso si trova molto lontana dai centri abitati. Per procurarsela bisogna affrontare un lungo cammino, anche di 4-5 ore al giorno. Un compito che di solito spetta alle donne e alle ragazze.

Lo stesso scenario drammatico del nuovo Rapporto Oms-Unicef 2017 può essere descritto così: 2 miliardi di uomini donne e bambini non hanno la possibilità di bere acqua sicura dai rubinetti delle loro abitazioni, 4 miliardi di persone non hanno bagni degni di questo nome.

Dal Rapporto congiunto Unicef-Oms ‘Progress on drinking water, sanitation and hygiene: 2017 update and Sustainable Development Goal baselines’, emerge la fotografia di mezzo pianeta in condizioni igieniche preoccupanti, dove manca il sapone per lavarsi le mani nelle case, nelle scuole e nelle strutture sanitarie.

Tutto ciò provoca ogni anno la morte di 361 mila bambini sotto i 5 anni di età per diarrea. L’acqua contaminata e le cattive condizioni igieniche scatenano epidemia di colera, dissenteria, epatite A e febbre tifoide.

Dei 2 miliardi di persone senza acqua potabile in casa, 844 milioni non hanno neanche un pozzo a cui attingere.  Ci sono 263 milioni di persone che ogni volta che devono rifornirsi di acqua sono costrette a camminare mezz’ora per raggiungere la fonte e 159 milioni che ancora bevono da fiumi o laghi.

In 90 Paesi del mondo i progressi verso la diffusione di servizi igienico-sanitari sono troppo lenti rispetto alla tabella di marcia prevista per il 2030 dagli obiettivi globali, quando i servizi igienico sanitari dovrebbero essere garantiti universalmente. In questi paesi un bagno è un lusso che quasi nessuno si può permettere. Seicento milioni di abitanti del pianeta condividono i servizi sanitari, spesso latrine, con altre persone della comunità, mentre 892 milioni di persone sono costrette a defecare all’aria aperta.

È una delle più importanti regole della prevenzione: lavarsi le mani con il sapone. Ma c’è chi non può farlo. Per la prima volta i Sustainable development goals analizzano l’accesso alle basilari misure igieniche come per l’appunto lavarsi le mani con il sapone. Osservando la situazione in 70 paesi del mondo emergono grandi differenze: solo il 15 per cento della popolazione che vive nell’Africa Sub-sahariana ha accesso ad acqua e sapone, contro il 76 per cento dell’Asia occidentale e delle regioni settentrionali dell’Africa.

Si può fare molto per i Paesi che non hanno acqua potabile. Come costruire pozzi d’acqua, oppure predisporre impianti idraulici che portino l’acqua potabile lì dove non c’è. Tutte soluzioni che possono migliorare le condizioni di vita nei Paesi più poveri del mondo. E per fare tutto questo c’è bisogno anche del contributo dell’adozione a distanza.

Moreno Manzi

 

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