Draghi tra il prolungamento dello stato d’emergenza e la via del Colle…

‘Sul Quirinale nessuno pensi di procedere senza Fratelli d’Italia’. Giorgia Meloni, intervistata da Corriere.it, ribadisce il ruolo del suo partito e in generale del centrodestra nella imminente partita per eleggere il successore di Mattarella. Berlusconi resta la prima ipotesi. “La prendiamo  sicuramente in seria considerazione”, dice la Meloni a colloquio con il vicedirettore Postiglione, sottolineando però la necessità di cercare convergenze sulla scelta dell’ex premier al Colle. ”Non abbiamo da soli i numeri. Ma nessuno pensi di eleggere il nuovo capo dello Stato senza di noi. In questo caso il centrodestra può e deve contare. Il confronto tra di noi è in corso e continua. Ci vedremo nei prossimi giorni”.

Ospite del Corriere.it la Meloni descrive così la relazione politica con il premier. “Credo che il presidente Draghi abbia valutato positivamente varie nostre proposte. Se ha deciso di realizzarle. Come quella sul cashback”, dice con un pizzico di orgoglio la leader dell’unica opposizione al governo dell’ex numero uno della Bce. Che al momento non è in corsa per il Colle. “Prima di parlare di questo tema – dice –  bisogna chiedere a Draghi. Continuiamo a parlare di questa questione con un grande convitato di pietra. Draghi non ha ancora detto le sue aspirazioni”.

Lo stato d’emergenza prolungato fino a marzo ha uno scopo non tanto recondito: incatenare Draghi a Palazzo Chigi. Verità, Stampa, Libero e Giornale mettono in chiaro come  la campagna vaccinale si stia intrecciando con quella del Quirinale.  “Mi spiego – scrive Belpietro – : il provvedimento non è ritenuto indispensabile per affrontare una situazione fuori controllo, che non c’è; ma per legare Mario Draghi alla poltrona di presidente del Consiglio e impedirne l’ascesa al Colle”. La correlazione è evidente: la dichiarazione di emergenza mal si sposa con l’incarico di capo dello Stato all’attuale premier Draghi. Sarebbe percepita dal punto di vista istituzionale come “una scelta poco responsabile e dunque incompatibile con la situazione: in quanto avrebbe un effetto destabilizzante, perché in un momento decisivo per le scelte di rilancio economico, l’Italia si priverebbe della persona più autorevole di cui dispone: assegnandole un ruolo non operativo come quello di presidente della Repubblica”. Questo il ragionamento di Belpietro, direttore de la Verità.

La nomina di Draghi al Colle  rischierebbe di essere percepita come un passo indietro in uno dei momenti decisivi nella lotta al virus. Il prolungamento dell’emergenza  consente di  bypassare la votazione sul dopo Mattarella.

Se Draghi se ne andasse da Palazzo Chigi, senza emergenza, “insieme con lui potrebbero essere indotti a traslocare in tanti, perché l’avvicendamento non garantisce di essere indolore”.

Lo stato d’emergenza, senza preamboli,  consente al ministro della Salute Speranza e ai funzionari ministeriali di gioire  perché la misura garantisce poteri speciali alla struttura commissariale e preserva le funzioni delle varie commissioni tecniche, che con Draghi premier rimangono inalterate. Al contrario chi sostituisse Draghi alla guida dell’esecutivo potrebbe fare qualche “ritocchino” tra i singoli esponenti dell’esecutivo. Magari sostituendone qualcuno che non ha particolarmente brillato. Nessuno nella vasta compagine governativa si sente al sicuro. Belpietro fa un esempio concreto: ‘’Se a Palazzo Chigi andasse per esempio Marta Cartabia, la Guardasigilli potrebbe decidere di non ereditare tutto l’esecutivo a scatola chiusa; ma potrebbe aver voglia di sostituire qualche ministro, ad esempio quello della Salute. Un rischio che né Speranza né altri vogliono correre”.

C’è anche un’altra paura da scongiurare: se Draghi si insediasse al Colle, potrebbe aprirsi un varco per anticipare le elezioni realtà che provoca forti timori nei parlamentari che hanno necessità di completare la legislatura per ottenere la pensione parlamentare.

Se la legislatura dovesse terminare prima della data ‘fatidica’ del 24 settembre del 2022 non maturerebbero il diritto a percepire l’assegno pensionistico, perdendo anche i circa 50mila euro di contributi finora versati.

Ovvero, prima dei 4 anni e 6 mesi e un giorno previsti dalla riforma del sistema pensionistico di Camera e Senato con cui sono stati aboliti i vitalizi, a decorrere dal primo gennaio del 2012, rimasti in essere solo per gli ex parlamentari e poi tagliati tre anni fa dal Parlamento su spinta dei 5 stelle, per passare a un sistema contributivo.

Per palazzo Madama le cose non starebbero esattamente in questi termini, come spiega il senatore di Forza Italia Luigi Vitali, presidente del Consiglio di Garanzia del Senato: è vero che i senatori, se la legislatura dovesse terminare in anticipo non percepirebbero la pensione, ma è altrettanto vero che potrebbero riscattare i contributi versati, quindi senza perderli, versando i contributi mancanti per raggiungere l’intero periodo della legislatura, così da maturare la pensione.

Al contrario, per la Camera questo non è possibile, precisa il Consiglio di Giurisdizione. Una deroga è stata prevista nel 2019 per i deputati subentrati in corso di legislatura.

Le pensioni dei parlamentari, che con la riforma del 2012 – nel pieno del governo Monti e della stretta sui costi della politica – sono state legate a stretto filo alla durata della legislatura, da allora sono tema che ricorre spesso nel dibattito politico.

Tanto più adesso in vista dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica e dell’ipotesi di un ‘trasloco’ di Mario Draghi da palazzo Chigi al Colle più alto il che, è il timore, o per altri l’auspicio, potrebbe comportare uno scioglimento anticipato delle Camere. Da qui l’interrogativo: che fine faranno le pensioni di deputati e senatori se non avranno maturato i 4 anni e sei mesi e un giorno previsti dalla riforma del 2012? E ancora: i contributi finora versati saranno persi?

Per il Consiglio di garanzia del Senato non è così: “Siamo stati investiti della questione da 3 ex senatori”, spiega il presidente, l’azzurro Vitali.

“Due erano subentrati in legislatura in corso, uno si era dimesso”. L’organismo di palazzo Madama ha quindi assunto una decisione in merito, che potrebbe fare da apripista. “La nostra decisione è stata presa sulla base della normativa Ue intervenuta su ricorso di alcuni eurodeputati. Secondo la Corte hanno diritto al riscatto della pensione a condizione di essere stati in carica almeno 12 mesi versando i contributi mancanti, compresi quelli spettanti all’amministrazione”.

Ora dovrà esprimersi il Consiglio di presidenza del Senato, ma intanto “vale la nostra decisione: i senatori potranno avere diritto alla pensione a condizione che siano stati in carica almeno 12 mesi e che versino tutti i contributi mancanti fino a raggiungere i 4 anni e 6 mesi e un giorno, a costo zero a carico del Senato. Un principio che vale per tutti, chiedendo il riscatto di quanto versato”.

Di tutt’altro avviso Montecitorio: “Non esiste alcuna sentenza della Camera che stabilisce che i deputati maturerebbero la pensione in caso di scioglimento della legislatura prima di quanto previsto dalle norme in materia”, precisa il Consiglio di Giurisdizione della Camera.

Tornando al Quirinale scrive il Giornale: “In caso di trasloco al Colle, Draghi dovrebbe mollare la guida dell’esecutivo 45/50 giorni prima della fine dell’emergenza. Un terreno scivoloso dove si incrociano vari ostacoli. Chiudere l’emergenza il 31 marzo porta con sé una serie di nodi da sciogliere. Il primo: la struttura commissariale guidata dal generale Figliuolo. Si fa largo l’ipotesi di trasferire i poteri in capo alla Protezione Civile. Ma anche in questo caso ci sarebbero limiti legislativi”. Dunque, “incastrare” Draghi al ruolo di premier garantirebbe un po’ tutti, partiti della maggioranza in testa.

Prolungare lo stato d’emergenza rende complicata  a Draghi la via del Colle…

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