Dimissioni di Zingaretti dal Pd: ‘Si parla solo di poltrone e primarie’

 Nicola Zingaretti si dimette  da segretario del Pd. ‘Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie’,  scrive su Facebook Nicola Zingaretti annunciando le dimissioni da segretario Pd. Visto che il bersaglio sono io – scrive – per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Nelle prossime ore scriverò alla Presidente del partito per dimettermi formalmente. L’Assemblea Nazionale del 13-14 marzo farà le scelte più opportune e utili.

Molti dem considerano le dimissioni di Zingaretti una mossa per sparigliare le carte puntando sempre e comunque al ruolo di segretario attraverso la riconferma in assemblea.  Una minaccia di dimissioni, null’altro. Parlavamo qualche numero fa della richiesta di effettuare un congresso da parte della minoranza riformista dem che chiede un rilancio politico che passi per un congresso. ‘La macchina sta sbandando, non possiamo continuare a schiacciarci dietro M5s facendoci scippare l’agenda Draghi da altri, mentre deve essere la nostra’, dicono Lorenzo Guerini e Luca Lotti, leader di Base riformista, lanciando un ultimatum al segretario: o si fa un congresso vero in autunno, oppure sarà rottura.

Conte a ben guardare si era ritagliato il ruolo di ‘federatore del centrosinistra’ anche in virtù del patto che aveva stretto con Giuseppe Conte, ora ex premier e capo dei Cinque Stelle. A dirla in modo brutale Conte ha bruciato Zingaretti abbracciando Grillo.

‘Il faro dei progressisti mondiali’, come lo definiva il capo dem, alla fine  è scappato dai  Cinque Stelle. Pure Leu, il micropartito di D’Alema e Speranza,  ora si vuole imbarcare nel M5s contiano.

Gianni Cuperlo è chiaro: ‘Passando da capo del governo a leader dei 5Stelle è mutato anche il ruolo politico che Conte è destinato a interpretare. È chiaro che con il Movimento 5 Stelle, come con LeU, l’alleanza è in costruzione e va rafforzata a cominciare dalle prossime amministrative, ma con tutta evidenza ora Conte di quella formazione è divenuto il capo. A lui i migliori auguri perché possa consolidare il legame del movimento con l’Europa ancorandolo così al campo del centrosinistra. Quanto a noi occupiamoci seriamente del consenso e dell’identità del Pd. Il punto è che se il consenso a quel governo ha retto sino all’ultimo è perché di fronte alla peggiore crisi economica e sanitaria dell’ultimo mezzo secolo si sono date risposte che hanno consentito a milioni di famiglie, lavoratori, pensionati, di reggere l’urto. Se non si riconosce questo è difficile spiegare il clima dei mesi alle spalle. Oggi il Pd  è un partito che oggi è forte nel Palazzo e assai più debole nel paese. Credo che un percorso congressuale vada avviato presto. Aggiungo che da mesi stiamo discutendo in decine di incontri un documento (Radicalità per Ricostruire) dove abbiamo indicato la rotta che dovrebbe avere una rifondazione del Pd. E’ un testo che sta aggregando persone diverse, in tanti casi esterne a noi, spesso deluse dal Pd che trovano sul loro territorio, dove si ragiona di nuovi diritti umani nel mondo e di quelli nel mercato del lavoro di casa nostra, di beni comuni, della funzione di uno Stato innovatore, del gender gap e di un modello di sviluppo fondato sulla dignità di ciascuno e non su un profitto senza etica. Si prova a declinare una politica industriale e una riforma della fiscalità a un quarto di secolo dall’ultima seria riscrittura del patto fiscale, si indicano i termini di un progetto educativo spalmato lungo il corso della vita e si mette al centro la lotta a mafie e disuguaglianze cominciando da quelle di nascita e di censo.  Per me è fondamentale ripensare il Pd,  rifondare democraticamente il suo modo di discutere, organizzarsi, selezionare la classe dirigente. Però tutto questo lo devi collocare in un disegno fatto di alleanze, e quelle non le costruisci solo dentro le istituzioni, quelle vivono nella società e nei conflitti che genera. A Milano, Pisapia e poi Sala non avrebbero vinto solo con i partiti, ce l’hanno fatta perché assieme a quelli si è mobilitato il civismo migliore, la rete delle associazioni, una griglia di personalità e un pezzo di popolo.  Per me rifondare il Pd ha senso in questa dimensione: se allarghiamo il campo e proviamo a includere quanti, e sono tanti, ci osservano da fuori perché non trovano in noi le motivazioni, spesso neppure i sentimenti, per sentirsi accolti dentro una comunità’. A ben leggere le parole di Cuperlo si traccia una strategia politica precisa per riconquistare nel sociale mani e tessere. Mani per voti e tessere per la crescita.

Matteo Ricci, neo coordinatore dei sindaci dem, sulle dimissioni del segretario  ha subito auspicato a stretto giro: “Comprensibile e condivisibile lo sfogo di Zingaretti, ma Nicola deve rimanere e continuare il suo mandato con la rinnovata spinta dell’Assemblea”. Lo dice anche l’ex ministro Francesco Boccia: “Penso che l’Assemblea nazionale abbia una sola strada. Chiedergli di restare segretario del Pd che, grazie alla sua guida, è uscito da uno dei periodi più bui della sua storia”.

 Le dimissioni da segretario del Pd arrivano dopo settimane di una guerriglia interna che si è rianimata dopo la fine del Conte bis, ma che aveva già avuto altri picchi nel corso del suo mandato. Il punto di non ritorno è stata l’ultima direzione del partito, nella quale Zingaretti ha proposto l’avvio di un congresso rifondativo, tutto centrato sull’identità e le proposte per rilanciare la principale forza della sinistra italiana.

La risposta che è arrivata dalle correnti ha gelato le speranze del segretario: una parte della minoranza ha chiesto primarie per mettere in gioco la leadership, un’altra ha ipotizzato una tregua da barattare con un cambio di linea. Per Zingaretti è stata la prova che non c’era la volontà di discutere di temi, ma solo l’intenzione di logorarlo altri mesi in vista di una conta interna che, a suo giudizio, non sarebbe servita a un chiarimento bensì solo al regolamento di conti tra le diverse fazioni. Lì è maturata la scelta di dimettersi, come “atto d’amore per il partito”, ha spiegato Zingaretti ai pochi a quali ha scelto di comunicare personalmente la decisione, e come “passaggio necessario per il chiarimento”.

.La questione principale resta cosa è il Pd, che non è un partito per giovani ed ha necessità per rinnovarsi di strategie precise e stimolanti per poterli attrarre.

‘Io credo che il mondo, politicamente parlando, sia cambiato e quindi noi non possiamo fare finta di niente: dobbiamo riadattare la nostra azione ai cambiamenti che ci sono stati. È naufragato il Conte ter,  è iniziata l’esperienza Draghi e noi siamo dentro questo governo a pieno titolo, perciò adesso dobbiamo toglierci qualche imbarazzo che ancora abbiamo a stare in questo esecutivo e dettare invece l’agenda con maggiore determinazione. Per fare tutto questo abbiamo bisogno di rielaborare il nostro pensiero. E avviare una franca discussione politica. Il congresso lo faremo quando la pandemia ce lo permetterà, ma oggi con i contagi che aumentano, con le scuole che chiudono, metterci a fare un congresso, che poi finisce con l’essere una conta interna, rischia solo di allontanarci dalla gente e di non farci fare quel necessario e prezioso lavoro di elaborazione politica. Credo che si debba trovare un punto di equilibrio nel partito. Faremo bene a discuterne nell’Assemblea del 13 e 14.  E confido che il segretario accompagni questa discussione nel modo più opportuno perché questo è il suo compito e la sua qualità di amministratore lo aiuterà a cercare il consenso più largo. Quindi mi auguro che si possa arrivare a una condivisione collegiale delle decisioni’, osserva realisticamente Debora Serracchiani.

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