Diabete, terapia orale e rischio cardiovascolare

Dopo i dubbi emersi negli scorsi anni sugli inibitori della dipeptidil-dipeptidasi 4, ora uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine chiarisce che i rischi cardiovascolari sono sovrapponibili a quelli del placebo Il timore era emerso un paio d’anni fa, quando alcuni studi avevano ipotizzato che una delle ultime classi di antidiabetici orali arrivate sul mercato, gli inibitori della dipeptidil-dipeptidasi 4, potessero avere effetti negativi a carico del cuore. La scorse estate, poi, una ricerca americana sembrava confermare questo sospetto: i pazienti diabetici affetti da scompenso cardiaco trattati con il capostipite degli inibitori della dipeptidil-dipeptidasi 4 (il sitagliptin) necessitavano più frequentemente del ricovero rispetto a quelli trattati con metformina e sulfaniluree. Anche se ciò non si traduceva in un aumento della mortalità, la preoccupazione non è mancata. Ora, dal New England Journal of Medicine, arriva la smentita. Sitagliptin è sicuro e non comporta nessun aumento di rischio cardiovascolare complessivo né specifico. Lo studio, denominato TECOS (Trial Evaluating Cardiovascular Outcomes with Sitagliptin) è stato congegnato per studiare proprio i presunti effetti cardiovascolari del farmaco. Sponsorizzato dall’azienda produttrice del farmaco (Merck), ma realizzato in maniera indipendente dalla Diabete Trial Unit della Oxford University e dal Clinical Research Institute della Duke University, ha coinvolto oltre 14 mila pazienti randomizzati a ricevere sitagliptin  in aggiunta alla terapia tradizionale o un placebo. A tre anni dall’inizio del trial, i valori per l’endpoint primario dello studio sono risultati completamente equivalenti nei due bracci della sperimentazione. Analoghi i risultati per gli endpoint secondari come i ricoveri per insufficienza cardiaca e i tassi di mortalità per tutte le cause. «I risultati dello studio ci dicono in maniera inequivocabile, senza se e senza ma, che il trattamento con sitagliptin non presenta alcun incremento di rischio cardiovascolare», ha spiegato Giuseppe Ambrosio, professore ordinario di Cardiologia all’Università di Perugia. «I pazienti trattati con sitagliptin non hanno riportato variazioni sia per eventi cardiovascolari che per ictus e infarto che anche per scompenso cardiaco, che invece in studi precedenti su farmaci di questa stessa classe aveva causato qualche perplessità.  Le due curve sono assolutamente sovrapponibili» Risultati particolarmente affidabili, proprio perché «lo studio non è stato disegnato per dimostrare una superiorità, cioè un effetto benefico, quanto appunto una sicurezza», ha precisato Stefano Del Prato, ordinario di Endocrinologia all’Università di Pisa. «Possiamo dire che lo studio è un successo, perché ha raggiunto al 100% i suoi obiettivi in quanto si rileva una sostanziale sovrapposizione delle linee del rischio». I risultati avranno un immediata ricaduta nella clinica: «È uno studio che ci ha tranquillizzato, fugando ogni dubbio sul profilo di sicurezza di questo farmaco rispetto agli eventi cardiovascolari», ha aggiunto Agostino Consoli, ordinario di Endocrinologia all’Università di Chieti. «Il fatto che in una popolazione molto a rischio, come quella selezionata per lo studio, non si sia registrato alcun incremento di rischio ci permette di usare con assoluta tranquillità sitagliptin anche nelle condizioni iniziali della malattia nei casi in cui è indicato, quando è fondamentale trattare il paziente a un target ambizioso, ma in piena sicurezza con un favorevole profilo di sicurezza, per prevenire il danno vascolare». Il farmaco antidiabetico orale di scelta differisce non solo tra i diversi pazienti, ma può essere variabile anche per uno stesso paziente nel corso degli anni. L’uso degli antidiabetici orali è confinato a pazienti affetti da  diabete mellito di tipo 2 con funzione della  Beta-cellula non esaurita. Nella storia naturale dapprima compare l’insulinoresistenza, cioè il segnale insulinico non è recepito in periferia, per cui la cellula β deve sottoporsi ad un ulteriore lavoro secretivo di insulina per compensare la ridotta efficacia insulinica e va incontro in breve ad esaurimento. Nel paziente sovrappeso ed obeso in cui l’insulino-resistenza costituisce il difetto prevalente,   il farmaco deve essere scelto con attenzione per evitare,insufficienza respiratoria, insufficienza cardiaca congestizia. I livelli di insulina risultano più ridotti dopo alcune ore dal pasto nella fase post-prandiale tardiva e la assunzione del farmaco ai pasti principali senza rischio di crisi ipoglicemiche tardive. In caso di fallimento terapeutico si impone l’aggiunta di insulina serale specie se il soggetto è cardiopatico. Il primo approccio al paziente diabetico è rappresentato da una dieta adeguata, che deve contenere per il 60% i carboidrati, ma con un ridotto apporto di zuccheri semplici molto assorbibili e di i grassi al 25% e preferendo quelli polinsaturi, almeno per il 10%. Le proteine vanno mantenute al 15%. Al secondo posto il diabetologo ed il medico di medicina deve consigliare lo stile di vita che va attuato sulla base delle condizioni cliniche del paziente, tenuto conto che il paziente diabetico è facilmente soggetto a strappi muscolari, tendiniti, facile preda dell’ ischemia miocardica, di piede diabetico, di neuropatia periferica. Poi si passa al trattamento farmacologico, indicato se  la dieta e l’esercizio fisico non hanno dato risultati; per esempio se la glicemia a digiuno si è presentata elevata, nonostante uno o due mesi di tentativi. I farmaci sono dapprima rappresentati dall terapia orale, i cosiddetti  farmaci ipoglicemizzanti orali.

Clementina Viscardi

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