Desi Bruno e un progetto per i musulmani detenuti

Nelle carceri servono imam che riconoscono la nostra Costituzione. A lanciare l’appello dopo la strage di Parigi è Desi Bruno, garante delle persone private della libertà personale della Regione Emilia-Romagna, durante la presentazione della seconda edizione di ‘Diritti doveri solidarietà’, il progetto educativo dedicato a i detenuti di fede musulmana nel carcere bolognese della Dozza. Desi Bruno è il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale. Nata a Venezia nel 1959, risiede a Pianoro (Bo). Laureata in giurisprudenza, avvocato, è autrice di pubblicazioni scientifiche, ha svolto attività di docenza in seminari, corsi di formazione e ha partecipato in qualità di relatore a diversi convegni e conferenze, in particolare sui temi connessi al sistema carcerario. Fondatrice dell’Associazione giuristi democratici, di cui è stata portavoce nazionale fa parte dal 2002 del Consiglio direttivo dell’Associazione europea di giuristi per la democrazia e i diritti umani. Abbiamo bisogno, ha detto la Bruno, che il diritto di culto religioso nelle carceri venga garantito attraverso l’accesso di imam che riconoscano i principi della nostra Costituzione, e non di guide spirituali improvvisate che possano generare radicalismi ed estremismi nei detenuti. Secondo Bruno, questo è un tema sottovalutato. La direttrice del carcere Claudia Clementi, dal canto suo, ha sottolineato che la strage di Parigi non ha provocato tra i detenuti reazioni particolari: ‘Credo che quel che è successo sia stato talmente forte che tutti ci stanno ancora riflettendo’. I temi che verranno trattati nella seconda edizione del progetto dedicato ai detenuti di fede musulmana, alla luce anche degli attentati di Parigi, vanno dalla Costituzione italiana alle nuove Costituzioni arabe e dal contrasto tra leggi degli uomini e leggi di Dio, fino alla libertà religiosa. Un nuovo ciclo di dodici lezioni, promosso dal Garante delle persone private della libertà personale. La prima edizione  del progetto, ha detto ancora la garante, è stata sperimentale ed è andata molto bene. Sono stati coinvolti circa ottanta detenuti islamici, che alla Dozza rappresentano più o meno il 30% della popolazione carceraria. La forza di questo progetto, ha aggiunto Bruno, sta nel confronto e nel dialogo interculturale essendo il carcere uno dei luoghi in cui la perdita d’identità può far sedimentare radicalismi. ‘Far entrare gli imam in carcere è pericoloso e impossibile da attuare. Non è istituzionalizzando queste figure che si può soffocare il seme del jihadismo, nè in carcere nè fuori’, dice il consigliere regionale della Lega nord Daniele Marchetti, che in una nota contesta la proposta lanciata dalla Bruno. Ricordo che i fratelli Coulibaly, scrive Marchetti, responsabili della strage alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, sono stati trasformati da comuni criminali in sanguinari terroristi proprio all’interno delle carceri francesi, troppo accondiscenti nei confronti delle pretese confessionali dei detenuti. Secondo il leghista, tra l’altro, non c’è alcuna relazione tra la formazione degli imam e la loro interpretazione più o meno violenta del messaggio coranico. Al-Baghdadi, califfo dell’Isis, e con lui altre migliaia di predicatori possono vantare i più prestigiosi titoli di studio e dottorati in teologia islamica e in forza di queste conoscenze predicano, con grande successo, l’odio e l’intolleranza. Per Marchetti la figura dell’imam non combacia necessariamente con quella del leader religioso, quindi non è istituzionalizzando queste figure che si può soffocare il seme del jihadismo. Infine, c’è anche un problema di ordine pratico: ‘La religione islamica non ha siglato un intesa con lo Stato, quindi è impossibile identificare un’autorità o un’istituzione formalmente legittimata a certificare imam teologicamente formati e ideologicamente non pericolosi. Ammesso che esistano’.

Cocis

 

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