Il ddl Sicurezza procede lentamente verso l’approvazione visto che la linea scelta dal principale partito di governo e dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è di utilizzarlo per raccogliere diverse esigenze arrivate in queste settimane. E cioè tutelare ulteriormente le forze dell’ordine, che nell’attuale disegno di legge vedono rafforzate parecchie prerogative, ma ascoltare i rilievi del Quirinale su alcuni punti, per evitare che manchi la firma al testo e finisca con un rinvio alle Camere che potrebbe accendere le energie dell’opposizione.
Il testo, approvato in prima lettura alla Camera, è ora in discussione davanti alle commissioni Prima e Seconda (Affari costituzionali e Giustizia) al Senato, dove si stanno già trattando i diversi articoli, con discussione e votazione. L’obiettivo è arrivare alla conclusione entro la fine del mese, per poi programmare la calendarizzazione in Aula. Dopo le manifestazioni dei giorni scorsi in seguito alla morte di Ramy Elgaml, da Lega e Forza Italia è partito il pressing per provare ad accelerare e portare il testo in aula senza relatore, facendo decadere tutte le modifiche fatte in commissione e con l’obiettivo di approvare il Ddl così com’è. Un pressing che Fratelli d’Italia intende respingere per vari motivi.
Oltre alle parti più contestate, tra cui il rendere reato penale i blocchi stradali e la collaborazione di tutta la pubblica amministrazione con i servizi segreti (inclusi gli atenei universitari) e il divieto di commercializzazione della cosiddetta cannabis light, il ddl contiene due articoli specificamente destinati a tutelare le forze dell’ordine: il 19 che prevede una aggravante specifica per la resistenza e la minaccia a un’agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza; le lesioni personali ad agente di pubblica sicurezza diventano un reato specifico e più grave. A questi si aggiunge la dotazione economica per l’acquisto e uso di bodycam (senza particolari vincoli su quando sia obbligatorio usarle), e un fondo per la tutela legale. Qui, stando all’idea del capogruppo alla Camera Galeazzo Bignami, si potrebbe inserire la norma che potrebbe impedire di iscrivere al registro degli indagati l’agente che abbia commesso un reato (omicidio compreso) nell’esercizio legittimo delle proprie funzioni. L’ipotesi è che in una prima fase di istruttoria risponda il ministero competente e che l’agente di pubblica sicurezza venga iscritto solo qualora ci siano specifici indizi a suo carico. Una modifica che, ovviamente, costringerebbe a rinviare tutto alla Camera per una terza lettura.
Un attacco all’autonomia atenei, è questo il timore degli studenti, ricercatori, sindacati e associazioni di settore in merito al ddl Sicurezza già approvato in Camera dei deputati e in discussione al Senato. La strategia per il contrasto a questa norma passa dalla piazza. La preoccupazione degli studenti riguarda, in particolar modo, l’articolo 31 del ddl n. 1660 presentato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, dal ministro della Giustizia Carlo Nordio e dal ministro della Difesa Guido Crosetto. “Le pubbliche amministrazioni, le società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico e i soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità sono tenuti a prestare al DIS, all’AISE e all’AISI la collaborazione e l’assistenza richieste, anche di tipo tecnico e logistico, necessarie per la tutela della sicurezza nazionale”, recita l’articolo 31 del ddl 1660. In particolare “Il DIS, l’AISE e l’AISI possono stipulare convenzioni con i predetti soggetti, nonché con le università e con gli enti di ricerca, per la definizione delle modalità della collaborazione e dell’assistenza suddette. Le convenzioni possono prevedere la comunicazione di informazioni ai predetti organismi anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza”.
L’allarme riguarda soprattutto l’obbligatorietà della collaborazione tra istituzioni accademiche e agenzie di intelligence. Per la norma del 2007 tale collaborazione doveva essere di natura volontaria. Secondo l’AISA, l’Associazione italiana per la promozione della scienza aperta, le università sono già guardate a vista dall’Anvur, l’Agenzia per la valutazione della ricerca, “con il ddl sicurezza, però, la sorveglianza diventa più attiva ed eccitante” e per questo chiede al Parlamento di non approvare il ddl. Anche i docenti universitari sono preoccupati. Secondo il Comitato per la Libertà Accademica della Società per gli studi sul Medio Oriente (SeSaMO) “l’obbligo di collaborazione con i servizi segreti limita la libertà delle università e degli enti di ricerca di operare in modo indipendente, rischiando di coinvolgerli in dinamiche estranee alla loro missione istituzionale”.
Parla di “schedatura”, invece, la segretaria della Flc Cgil, Gianna Fracassi. “L’articolo 31 del ddl – osserva – disegna uno scenario da Grande Fratello per cui, oltre alla PA anche soggetti autonomi come le università o enti pubblici di ricerca sono tenuti “spontaneamente” a fare convenzioni con i servizi segreti e in virtù di queste a fornire informazioni anche in deroga alle norme sulla tutela della riservatezza. Il tutto con paletti così generici che il rischio è sostanzialmente la schedatura. Docenti, associazioni e studenti preoccupati trovano una sponda tra le fila della minoranza. L’articolo 31 del ddl sicurezza non piace alla minoranza. “Una norma del genere rappresenta un attacco diretto e inaccettabile all’autonomia universitaria”, dice il capogruppo M5S in commissione cultura al Senato Luca Pirondini. Anche per il senatore Pd Francesco Verducci “il cosiddetto Ddl Sicurezza contiene, tra altri pericolosi interventi anticostituzionali, un attacco all’autonomia delle università, della ricerca, del sapere”.
Il ministro per i rapporti con il parlamenti, Luca Ciriani, aveva aperto all’ipotesi di accogliere due rilievi arrivati dal Quirinale. L’eliminazione del divieto di vendere le sim per i telefoni cellulari a chi sia in Italia senza permesso di soggiorno e reinserire l’obbligo di rinvio di esecuzione della pena per le madri incinte e con figli minori di un anno, che il ddl doveva eliminare. L’idea più credibile, spiegano fonti delle Commissioni, è che tutte le modifiche arrivino in aula, quando saranno stati già bocciati i 1300 emendamenti presentati dalle opposizioni.
Il 12 gennaio si è tenuta l’assemblea nazionale della “Rete No al Ddl a Pieno Regime”: all’ordine del giorno le prossime mobilitazioni contro il ddl sicurezza. Si parte il 17 gennaio, in piazza a Roma scende l’Udu, l’Unione degli universitari, per una fiaccolata contro il Ddl sulla Sicurezza. A collaborare anche Amnesty International che organizza le sue fiaccolate a Roma davanti Palazzo Madama a Roma, nel resto d’Italia difronte alle prefetture. All’inizio di febbraio la protesta espatria e dal 3 al 5 rappresentanti della Rete si spostano a Bruxelles per una conferenza stampa con i gruppi della sinistra nel Parlamento europeo. Ma non solo. La Rete vorrebbe manifestare anche il giorno della votazione circondando con un girotondo pacifico il Senato. Intanto, i manifestanti segnalano come un primo buon risultato lo slittamento dell’approvazione del ddl sicurezza.