Cucchi: esposto contro perito

L’accusa della famiglia Cucchi nell’esposto contro il medico legale Paolo Arbarello è chiara, “con la sua consulenza orientò l’inchiesta”. E dopo il loro esposto il Procuratore Capo di Roma Pignatone oggi ha aperto un fascicolo che seguirà personalmente forse per seppellire anche i vecchi attriti tra i pm del suo ufficio, Loy e Barba, e la famiglia di Stefano, morto nel 2009 dopo una settimana di detenzione. Il fascicolo aperto, senza ipotesi di reato né indagati, è circoscritto ai soli episodi che i familiari di Stefano hanno presentato contro il consulente tecnico accusato, tra l’altro, di aver indotto i pm ed i giudici di primo grado a ritenere quanto egli “stesso aveva fatto intendere in televisione fin dal 9 novembre 2009: ossia che, da parte sua, si sarebbe cercato di dimostrare la colpa dei medici per la morte di Stefano, escludendo qualsiasi nesso di causa con le lesioni”.  Il legale Fabio Anselmo dice: “A noi non interessa un colpevole ad ogni costo. A noi interessa che il caso Cucchi venga trattato come un omicidio preterintenzionale, perché questo è un caso di omicidio preterintenzionale. Poi è fisiologico che in un processo gli imputati possano o meno essere condannati, ma i presunti autori di un pestaggio non possono essere processati per il reato di lesioni lievi colpose”.  In effetti l’esposto, pur concentrandosi su un tassello dell’intera fase istruttori e processuale, offre alcuni “fatti”, gli stessi fatti che Pignatone aveva invocato per potere ritornare a fare luce su una morte che non ha ancora colpevoli. Nell’esposto si sottolinea che da alcune intercettazioni telefoniche emerge che “in corrispondenza delle singole riunioni medico legali, i consulenti di parte degli agenti penitenziari ricevevano in qualche modo delle rassicurazioni sul fatto che sarebbe stata riconosciuta una ‘morte naturale’ di Stefano indipendentemente dalle lesioni subite”. Non solo, la famiglia Cucchi punta anche sulla nomina di Arbarello, l’8 maggio 2012, a componente del cda della Milano Assicurazioni, diventando “portatore di un interesse qualificato nei confronti della società stessa, nonché del socio di maggioranza Fondiaria Sai e del gruppo Unipol”, quest’ultimo “ente assicurativo dell’ospedale Pertini in cui Stefano fu ricoverato e dove morì”. La perizia da sempre contestata dalla famiglia di Stefano sancì che il ragazzo morì per inazione, ovvero di fame e di sete, a causa della trascuratezza dei medici.

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