Crisi economica: una operazione studiata a tavolino

Giova ribadire che contrariamente alle comuni convinzioni, le crisi economiche come l’attuale e tutte le altre che si sono succedute, sino alla più famosa del 1929, non sono accadimenti ineluttabili che piovono dal cielo o capitano per cause arcane ed imprevedibili, ma sono la risultanza di rigorose pianificazioni realizzate a tavolino da inimmaginabili organismi legati agli ambienti finanziari e monetari.  La tecnica utilizzata per realizzare questi disastri economici è quasi sempre la stessa: drastica riduzione sul territorio della circolazione monetaria e delle risorse finanziarie indispensabili al funzionamento del sistema produttivo e distributivo, terapia che si accompagna quasi sempre al ritardo dei pagamenti da parte dello Stato e Pubbliche Amministrazioni. (attualmente il mercato attende pagamenti per oltre 70 miliardi di Euro pari a 2 manovre). Le crisi vengono organizzate essenzialmente, alla pari di tutte le guerre guerreggiate, per impossessarsi dei beni e sistemi produttivi appartenenti ad altri, per farli confluire alle grandi multinazionali controllate dall’apparato bancario-monetario. Ciò avviene nei confronti delle strutture di loro interesse, mentre per le altre o per quelle appartenenti a settori merceologici ritenute non interessanti o già da loro possedute, vengono lasciate fallire per eliminare la concorrenza ed appropriarsi delle relative quote di mercato, così liberate. L’innovazione in questa ultima crisi, rispetto alle altre che si sono succedute, consiste nell’aver esteso l’attacco oltre che al solito apparato privato produttivo e distributivo, anche al sistema bancario (le piccole banche all’estero vengono lasciate fallire, ed in Italia fagocitate dalle più grosse) ed agli Stati. L’attacco frontale agli Stati, al nostro in particolare, perpetrato dai banchieri, mira a razziare i beni pubblici ancora rimasti (i loro servitori infatti in ogni occasione invocano le privatizzazioni), ed a spremere sempre più il mercato con l’inasprimento fiscale per garantire il pagamento degli interessi, in aumento, sul debito pubblico e per continuare a sottrarre quote di sovranità allo Stato (in questo caso con l’aggravante della complicità del Presidente della Repubblica che invece di attenersi alla Costituzione opera di concerto con i banchieri) al fine di rendere sempre più avvolgente l’azione di controllo sui cittadini da parte dell’apparato bancario e monetario. A questa strategia risponde il non celato desiderio d’impadronirsi degli strumenti e della gestione dei servizi pubblici (privatizzazioni) per incrementare ulteriormente la propria capacità di condizionamento, come sempre si verifica quando una formazione privata si trova a gestire, in clima di monopolio, i servizi pubblici di prima necessità quali: nettezza urbana, rifiuti, distribuzione dell’acqua, energia, trasporti, ecc. Tutto il taglieggiamento ed il condizionamento operato dai banchieri avviene utilizzando lo strumento del debito pubblico e privato, da loro stessi costruito, dopo essere riusciti, complici i politici corrotti e compiacenti, ad estromettere lo Stato dall’esercizio della funzione pubblica quale è l’emissione e la gestione monetaria.  A riprova, ora che operano all’interno del Governo in prima persona il primo provvedimento realizzato è stato l’aumento del prelievo fiscale, in tutte le direzioni a danno dello sviluppo economico e del sociale, per potersi garantire il pagamento degli interessi sul debito pubblico, che loro stessi, in combutta con i loro peggiori elementi annidati all’interno delle agenzie di rating, fanno lievitare. Centrata la diagnosi, sino a prova di smentita, la terapia è semplice quanto risolutiva: occorre smettere di produrre il debito. Lo Stato invece di comprare i soldi dai banchieri privati pagandoli al valore facciale con i propri titoli di debito gravati da subito d’interessi passivi, che alimentano il perverso mercato finanziario, deve ritornare ad emettere la propria moneta in nome e per conto dei propri cittadini, come ha ben saputo fare per cento anni da 1874 al 1975 (data dell’ultima emissione monetaria diretta), ancor meglio ora giacché risulta acclarato il “valore convenzionale della moneta” (G. Auriti).  Non solo senza indebitarsi lo Stato dispone senza condizionamenti delle risorse indispensabili per far ripartire l’economia, l’occupazione e mantenere lo stato sociale (ritenuto dal Governo Monti troppo esteso e costoso), ma può accedere  immediatamente al club delle grandi Nazioni le quali in forza di convenzioni bilaterali sottoscritte fra loro hanno stabilito di regolare il proprio interscambio commerciale pagando ognuno con la propria moneta nazionale. La recentissima convenzione in tal senso sottoscritta tra la Cina ed il Giappone, superando i loro aspri ed atavici contrasti, sta’ a dimostrare che contrariamente agli anatemi lanciati dai prezzolati profeti di sventura,  si può benissimo convivere senza il Dollaro, ma anche senza l’Euro. Il prossimo anno sarà peggiore di quello passato, ma se servisse a far capire…. Molti auguri in tal senso.

Savino Frigiola

 

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