Una veduta di Palazzo Chigi dove è in corso un nuovo vertice di governo sul testo del decreto di Agosto, Roma 6 agosto 2020. MAURIZIO BRAMBATTI/ANSA

Crisi di governo sul filo teso del Recovery plan e delega ai servizi segreti

 

Continua il braccio di ferro tra Conte, maggioranza e opposizione sulla delega sui servizi segreti. Il premier sembra infatti disposto a rischiare una crisi di governo pur di non abbandonare la delega.

La legge n. 124/2007 del 3 agosto, “Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto”, pone per la prima volta il Presidente del Consiglio dei Ministri a capo dei servizi informativi e stabilisce che sia lui stesso a nominare direttore e vicedirettori delle varie agenzie e coordinare le politiche dell’informazione per la sicurezza.

Il capo del governo – in via esclusiva – può detenere l’alta direzione e la responsabilità della politica dell’informazione per la sicurezza, l’apposizione e la tutela del segreto di Stato, determinare l’ammontare annuo delle risorse finanziare, provvedere al coordinamento dei servizi e impartire le direttive.

Se quindi la legge prevede la possibilità che il capo del governo detenga la delega ai servizi segreti “in via esclusiva”, il vero problema è la centralità dei poteri nelle mani di Conte. Il premier però sembra sempre più isolato sulla questione perché sia Pd che soprattutto Italia Viva – Matteo Renzi ne ha fatto un suo cavallo di battaglia insieme a Mes e Recovery Plan – hanno chiesto a Conte di cedere la delega.

Il premier si è rifiutato sostenendo che “non disponendo di un partito non potrebbe dare la delega a un appartenente a tale partito, come è sempre stato nel passato” e se lo facesse “comprometterebbe l’operatività dell’intero comparto” perché si verrebbe a costituire una “struttura bicefala anomala”.

Fabrizio Cicchitto sul quotidiano ‘Il  Tempo’ a riguardo ha scritto: “Al di là di un gioco politico, nel quale non vogliamo entrare, Renzi ha 10.000 ragioni nel sostenere che Conte deve mollare il diretto controllo sui servizi, rispetto ai quali non ha né la professionalità né il tempo. A Conte sono concesse cose finora mai permesse a nessuno. Pensiamo cosa sarebbe accaduto se Berlusconi avesse voluto per sé il diretto controllo sui servizi. L’unica spiegazione di tutto ciò è che Conte vuole avere questo controllo per tre ragioni, una certamente difensiva. Quella difensiva è che evidentemente vuole avere la certezza che siano coperti e protetti aspetti che non vuol far conoscere della sua vita privata.

La seconda ragione che evidentemente vuole incutere qualche timore specie ai suoi soci di governo. Tutto ciò non è affatto brillante, specie se si pensa che, in parallelo, tramite Arcuri egli ha anche il totale controllo su qualunque aspetto riguardante gli approvvigionamenti sanitari e anche, non si capisce proprio perché, sull’ex Ilva.

La terza ragione deriva dall’autorizzazione a suo tempo da lui data al direttore del DIS  Gennaro Vecchione perché desse tutti gli aiuti possibili e immaginabili anche utilizzando Aisi e Aise a Durham e Barr che stavano facendo per Trump contro indagini sul Russiagate avendo nel mirino i democratici e l’Fbi. Si ricorderà che Aisi e Aise fecero grandi ricerche su tal Mifsud, transitato per la Link University di Vincenzo Scotti.

La delega sui servizi segreti che il premier non vuole cedere è il primo punto sostanziale di aperto disaccordo con Matteo Renzi. Il secondo punto di rottura si trova nel Recovery plan. Insieme possono portare Renzi ad aprire una crisi di governo.

‘Il Recovery plan proposto da Giuseppe Conte è un collage raffazzonato senz’anima’. Parte da una stroncatura senza appello di Matteo Renzi, l’ultimo tentativo di rimettere insieme i pezzi della maggioranza ed evitare che le dimissioni delle ministre di Iv aprano la crisi di governo.

Il “Ciao”, il contro-piano renziano, sembra fin dal nome voler liquidare il premier, anche perché le richieste renziane sono difficili da digerire, non solo per Conte ma anche per il M5s: dalla rinuncia alla delega ai Servizi, allo ius culturae per gli universitari stranieri, al Mes. Ma l’affondo di Iv ancora non c’è. E Pd, M5s, Leu rilanciano con le loro proposte.

Al ministero dell’Economia oggi Roberto Gualtieri ed Enzo Amendola vedranno le delegazioni di Pd e M5s, mercoledì Leu, Iv e Autonomie per preparare il terreno del confronto, prima di un incontro plenario con tutti i partiti. Solo dopo, forse a cavallo dell’Epifania, Conte convocherà il Consiglio dei ministri sul Recovery. Se intesa ci sarà, potrebbe essere un primo tassello di un più ampio accordo di governo, che potrebbe passare da un rimpasto “pilotato”, che eviti una crisi al buio dall’esito – concordano tutti i partiti – imprevedibile.

Ma se non ci sarà intesa, continua a minacciare Renzi, “faranno senza Iv”. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, le cui parole sono attese nel discorso di fine anno, osserva l’evolversi della situazione. In ambienti parlamentari c’è chi, interpretando il pensiero del capo dello Stato, ritiene difficile l’ipotesi della nascita di un governo Conte ter, che passi dalle dimissioni del premier e consultazioni per un nuovo governo. Diverso – forse più praticabile – il caso in cui Conte proponesse alcuni cambi nella sua squadra di governo con un rimpasto su cui chiedere una nuova fiducia in Parlamento.

A margine dei lavori sulla manovra continuano a rincorrersi voci, nonostante le smentite, di un ingresso di Renzi o Ettore Rosato nel governo, con cambi al Viminale (che andrebbe al Pd o a Di Maio) e alle Infrastrutture. Solo ipotesi, per ora. Il Pd continua a smorzare le tentazioni di crisi rilanciando sul piano delle proposte per “cambiare l’Italia” con il Recovery e sostenendo che l’unica alternativa a questo governo sono le elezioni, magari con un’alleanza Pd-M5s (Renzi si tira fuori) e una lista Conte.

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