Crisi di Governo. M5S vuole Conte a palazzo Chigi. Il no di Zingaretti

Le basi per trattare ci sono ma la strada per la formazione di un governo giallorosso è tutta in salita. Dopo l’incontro tra le delegazioni di M5S e Pd è la volta dei capi politici. Di Maio e Zingaretti si sono visti a cena per smussare gli angoli e trovare la quadra su un accordo per la nascita di un nuovo Governo. Ma subito c’è il primo ostacolo: chi dovrà guidare il nuovo esecutivo. Luigi Di Maio ha detto al segretario Dem che bisogna ripartire da Giuseppe Conte, altre alternative al momento non sono e non possono essere contemplate. Il ni di Zingaretti che ha sempre chiesto discontinuità su uomini e programma incrina il dialogo tra i due partiti. Di sicuro è questo uno dei punti fondamentali per iniziare a chiudere l’accordo. Un passo indietro di uno dei due verrebbe vista come il rinnegare tutto ciò che è stato detto negli ultimi giorni e nel passato. Spazi di trattativa ci sono e non è escluso che per chiudere l’accordo Zingaretti non giochi proprio la carta di Maio per palazzo Chigi: una mossa che potrebbe creare non poche difficoltà ai 5stelle. Ma questo denota anche come il Pd parli lingue diverse: Renzi, che comanda nei gruppi parlamentari, vuole Conte. Il segretario, per ora, no. E poi c’è il nodo programmatico: al di là dei 10 o 5 punti proposti dai due partiti, Di Maio e Zingaretti devono trovare un accordo su un governo di legislatura. Esecutivi miopi o con difficoltà di tenuta, soprattutto per le divisioni interne ai Dem, potrebbero essere bocciati da Mattarella. In questo caso le incognite politiche sono tante perché le evoluzioni in atto nel Pd sono sotto gli occhi di tutti. Insomma più che il segretario le carte le da Matteo Renzi. Ha l’occasione di riprendersi il partito o spaccarlo definitivamente. Allo stesso tempo Zingaretti potrebbe voler tornare al voto per eliminare il potere dell’ex premier che a questo punto varerebbe il suo partito politico e toglierebbe voti ai Dem. Giochini, questi, che saranno bocciati dal presidente della Repubblica e forse anche dagli elettori.

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