Crisi di governo e Paolo Gentiloni premier

Matteo Renzi, confermando il suo ‘no’ ad un reincarico lascia Palazzo Chigi: ‘Io mi sono dimesso. Sul serio, e non per finta.  Con me arrivano scatoloni, libri, vestiti, appunti. Ho chiuso l’alloggio del terzo piano di Palazzo Chigi. Torno a casa davvero’. Di sicuro non è possibile non vedere l’elenco impressionante delle riforme che ha realizzato il suo governo, dal lavoro ai diritti, dal sociale alle tasse, dall’innovazione alle infrastrutture, dalla cultura alla giustizia. Di certo c’è l’amaro in bocca per ciò che non ha funzionato, a partire dalla   riforma costituzionale,  perchè   il popolo si è espresso negativamente su di essa. Di solito si lascia Palazzo Chigi perché il Parlamento ti toglie la fiducia, cosa che nella fattispecie non è avvenuta. Pertanto,  dopo le consultazioni il Capo dello Stato  ha conferito l’incarico di premier a Paolo Gentiloni. L’ex ministro degli Esteri  è un  politico che ha fatto i primi passi nella sinistra extraparlamentare,    nel movimento ecologista,  e nel ‘Movimento Studentesco’ di Mario Capanna,   noto a Milano come i ‘Katanga’,  per i modi  bruschi con i quali risolvevamo le diatribe interne al movimento.   Dopo questa esperienza Gentiloni  passa ad incarichi di prima linea a livello locale e nazionale, culminati con il biennio alla guida del Ministero degli Esteri. Nato 62 anni fa a Roma,  discendente di una famiglia nobiliare,  che con un suo antenato   siglò l’omonimo patto che agli inizi del ‘900 segnò l’ingresso dei cattolici nella politica italiana.  Nei primi anni ’70 milita nella sinistra extraparlamentare e si avvicina poi al movimento ecologista di Legambiente, dove si lega a Francesco Rutelli, di cui diventa portavoce quando Rutelli viene eletto sindaco di Roma nel ’93. E gestisce la difficile sfida del Giubileo, come anello di collegamento tra Vaticano e Comune. Entra in Parlamento nel 2001 con la Margherita, di cui è tra i fondatori, e nel 2006   diventa ministro delle Comunicazioni nel secondo governo Prodi, lavorando alla difficile partita di una riforma che riequilibri un sistema mediatico segnato dallo strapotere di Silvio Berlusconi. Quando il Partito Democratico muove i primi passi, Gentiloni è tra i soci fondatori. Nell’ultima legislatura, entra in commissione Affari Esteri e  questa esperienza lo favorisce per la nomina a ministro degli Esteri al posto di Federica Mogherini, chiamata a guidare la diplomazia Ue. Per la Farnesina il premier Renzi lo  sceglie come  persona di fiducia. Gentiloni, del resto, è tra i primi esponenti ‘senior’ del Pd a partecipare alla Leopolda, la convention da cui parte la scalata dell’allora sindaco di Firenze. Alla Farnesina Gentiloni affronta i numerosi  dossier di politica internazionale, tessendo una tela di dialogo che trova l’apprezzamento nei partner stranieri, anche da sponde opposte. Costruisce un rapporto stretto, e di amicizia, con il capo della diplomazia americana John Kerry, rivendicando l’indissolubile legame tra Italia e Stati Uniti, ma allo stesso tempo tiene aperto il canale con il collega russo Serghiei Lavrov. E anche nel momento di tensione massima tra Usa ed Europa e la Russia, culminata con le sanzioni contro Mosca dopo la crisi ucraina, Gentiloni insiste sulla necessità di non rompere con la Russia.   La moderazione che lo contraddistingue, però, non gli impedisce di assumere anche toni duri, ad esempio contro l’Egitto, per i ritardi nella soluzione del caso Regeni, o per la vicenda dei marò,  per la quale non ha risparmiato attacchi alla controparte indiana. Poi la crisi libica, con il sostegno attivo dell’Italia agli sforzi che portano all’accordo sul governo di unità nazionale, e la guerra al terrorismo e all’Isis, che lo prende di mira bollandolo come ‘ministro dell’Italia crociata’. Gentiloni dovrebbe in tempi stretti formare il nuovo esecutivo perché,   come Mattarella ha sottolineato al termine delle consultazioni, il Paese ha bisogno di un governo in tempi brevi,  perché ci sono scadenze e impegni da rispettare, sul piano interno, europeo e internazionale. E proprio il piano europeo è quello più impellente: giovedì 15 c’è infatti il Consiglio Europeo e Mattarella vuole un governo insediato e con pieni poteri.  Gentiloni probabilmente preparerà la lista dei ministri   per arrivare a giurare entro mercoledì e presentarsi forte in Europa. Poi ci sarà il passaggio della fiducia, anche se la maggioranza che sosterrà il governo sarà praticamente la stessa del governo Renzi, visto che gli altri partiti si sono sfilati   dalla possibilità di un governo di larghe intese. A quel punto la politica potrà pensare alla nuova legge elettorale per poi andare alle urne probabilmente a giugno. Resta comunque la posizione delle opposizioni. Giorgia Meloni è chiara: ‘Con Gentiloni non cambia nulla, in piazza il 22 gennaio. Tutto cambia perché nulla cambi. Siamo passati dal Governo del burattino delle lobby al Governo del burattino del burattino delle lobby.  Se il Pd pensa si trascinarci a fine legislatura con il quarto esecutivo non scelto dagli elettori, sappia che il 22 gennaio ci troverà in piazza’. Identica la posizione dei Cinque Stelle che si esprime con Di Maio: ‘C’è un Paese che vuole votare e noi  stiamo con il popolo italiano. Non con questa banda di voltagabbana. Non staremo a guardare’.  Dal segretario federale della Lega, Matteo Salvini, arriva invece una raffica di tweet contro Paolo Gentiloni, definito dal leader leghista un ‘fantasma’ che ha ingoiato ogni idiozia imposta all’Italia vedi immigrazione di massa, sanzioni contro Putin e invio dei soldati italiani al confine con la Russia’. E con l’hashtag #votosubito, denuncia la designazione del quarto premier non eletto da nessuno, la fotocopia sfigata e sbiadita di Renzi. Molti impegni aspettano Gentiloni, a partire dalla decisione della Bce che ha negato a Monte dei Paschi di Siena una proroga di venti giorni per portare a termine la ricapitalizzazione, con  il Paese che rischia, a livello creditizio, una crisi sistemica. Siamo precipitati in una fase di transizione   che ci  obbliga a un periodo di decantazione e coesione che consenta all’Italia da un lato di affrontare le emergenze, come il terremoto,  e dall’altro di definire una legge elettorale che consenta al Paese la sua governabilità.  Il Pd ha il dovere di assicurare il governo al Paese e poi, una volta fatta la nuova legge elettorale dopo la sentenza della Consulta, ci consenta di andare al voto.

Andrea Viscardi

 

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