Crisi di governo e ministro Patuanelli

“La crisi l’ha cercata lui”: nel senso del presidente del Consiglio. “Stracciando le bandiere M5S, avallando la scissione dimatiana, sparlando di Conte a Grillo”. Delitto di lesa maestà. “Rifiutando di stralciare dal dl Aiuti inceneritore e norme contro RdC e super bonus e imponendo l’ennesima fiducia per addossare la colpa ai 5 stelle”.

La proposta del termovalorizzatore era del sindaco di Roma, Gualtieri, nonché ex ministro dell’Economia durante il Conte II. RdC e bonus erano stati oggetto di una critica feroce da parte di chiunque avesse un minimo di sale in zucca, se non altro per il solo fatto di essere un veicolo di corruzione e di ruberie.

Anche a giustificare il comportamento di un ministro come Stefano Patuanelli, nonché capo delegazione M5S, che vota la sfiducia nei confronti di se stesso, dopo aver avallato, in consiglio del ministri, tutte le scelte programmatiche del dl Aiuti. Salvo qualche blanda astensione.

Per Travaglio & Co. la democrazia si identifica con il follower. Seguire il gregge. Non un’élite o una classe dirigente, costretta a fare i conti con i dati di realtà, ma, come dicono i 5 stelle, semplici “portavoce” degli attivisti.  Non si dimentichi che l’articolo 2, comma 2, della legge 400 del 1988 stabilisce testualmente: “Il Consiglio dei Ministri esprime l’assenso alla iniziativa del Presidente del Consiglio dei Ministri di porre la questione di fiducia dinanzi alle Camere”.

Che facevano in quella circostanza i vari Patuanelli, per non parlare di Federico D’Incá, ministro per i Rapporti con il Parlamento addirittura dal 5 settembre 2019, delegato a richiedere formalmente il ricorso alla fiducia? Nel corso della seduta, in cui tutto fu deciso, dormivano? Erano andati a prendere un caffè? O più semplicemente non avevano capito? Salvo poi tentare di rimediare, proponendo dopo la delibera formale del Consiglio dei ministri, in merito all’opposizione della questione di fiducia, di far finta di come se niente fosse accaduto.

Alla fine è una faccenda di reputazione: chi l’ha e chi no. Chi ha una reputazione e un’idea alta e dignitosa della cosa pubblica, e considera sé uno strumento della cosa pubblica finché non scade nel basso e nell’indegno, e nello sterile, e chi una reputazione non l’ha e deve difendere altro, un piccolo posto al sole, o in penombra, o un ruolo piovuto dal cielo o un sondaggio o una dimensione da influencer della politica, tutte robe molto divertenti, per l’amor del cielo, in questo eterno diporto inconsapevole di cui tu e io e chiunque voti e viva qui sono responsabili pro quota: non toglierselo mai dalla testa.

Del tutto indifendibili: da qualsiasi parte la si voglia raggirare. I 5 stelle avevano avuto tutto il tempo per arrestare quella deriva, senza dover aspettare il voto della Camera e del Senato. Non hanno fatto alcunché. Mistero nel mistero, considerato quanto sostiene Luigi Di Maio, secondo il quale la decisione (sollecitata da chi?) era programmata da tempo. Ancora una volta Travaglio se la prende con gli anglo-americani, responsabili, a suo dire, di aver “inchiodato” Mario Draghi.

“La seconda cosa che mi ha colpito – ha confessato Luigi Zanda, nella sua intervista a La Repubblica – è stato l’intervento molto duro della capogruppo M5S in Senato, Mariolina Castellone. Ha fatto capire che lo strappo non è stato solo sul termovalorizzatore di Roma, ma per ragioni di fondo”. Sarebbe interessante conoscere quali…

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