Covid, il primo Dpcm di Draghi: Scuole chiuse in zona rossa

Il “Dpcm è stato firmato dal presidente del Consiglio ed è in vigore dal 6 di marzo al 6 di aprile”. Lo dice il ministro della Salute Roberto Speranza in conferenza stampa a Palazzo Chigi. “Il principio guida del nuovo dpcm, adottato dopo confronto ampio con Parlamento e Regioni, è la tutela della salute come questione fondamentale e faro, linea guida essenziale. Per ricostruire il Paese, per lo sviluppo del Paese, bisogna vincere la pandemia.

La curva dà segnali piuttosto robusti di ripresa e risalita e facciamo i conti con alcune varianti temibili del virus come la variante inglese, ma anche variante sudafricana e sudamericana. Il Dpcm “prova a mantenere un impianto di conservazione delle misure essenziali che sono vigenti. Viene confermato il modello di divisioni del nostro Paese di aree che corrispondono a colori. Noi riteniamo che differenziare i territori sia la strada giusta perché ci permette di dare la risposta più idonea ad ogni segmento.   La variante inglese ha una particolare capacità di penetrazione nelle fasce più giovani. Questo ci ha portato a determinare che in area rossa le scuole di ogni ordine e grado saranno in Dad, così come nei territori dove il tasso di incidenza” del virus “è pari o superiore a 250 ogni 100mila abitanti. Sono colori che ormai gli italiani hanno imparato a conoscere: le zone rosse, che sono quelle a più alta diffusione del virus, e poi arancioni, gialle e da ultimo la zona bianca con il minor tasso di rischio”, spiega Speranza rilevando che ” in queste ore sono in corso interventi da parte di molti presidenti di Regione volti a costruire un modello che riesce a delimitare con ancora maggiore dettaglio su specifici ambiti sub-regionali. Riteniamo sia una linea che va nella direzione giusta perché produce un effetto ancora più significativo”.

Il premier ha infatti “militarizzato” la macchina che si occuperà di gestire la campagna vaccinale di massa: congedato il commissario Arcuri, ha nominato al suo posto il Generale Figliuolo. L’avvicendamento arriva solo qualche giorno dopo un altro cambio di passo importante: quello alla Protezione Civile dove Borrelli ha lasciato il posto a Curcio.

Il Generale Francesco Paolo Figliuolo, originario di Potenza, ha maturato esperienze e ricoperto molteplici incarichi nella Forza Armata dell’Esercito, interforze e internazionale.

Ha ricoperto l’incarico di Capo Ufficio Generale del Capo di Stato Maggiore della Difesa, dal 7 novembre 2018 è Comandante Logistico dell’Esercito.
In ambito internazionale ha maturato esperienza come Comandante del Contingente nazionale in Afghanistan, nell’ambito dell’operazione ISAF e come Comandante delle Forze NATO in Kosovo (settembre 2014 – agosto 2015).

Il Generale Figliuolo è stato insignito di numerose onorificenze. Tra le più significative la Decorazione di Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia, la Croce d’Oro ed una Croce d’Argento al Merito dell’Esercito e NATO Meritorius Service Medal.

Draghi con questa doppia mossa ha lanciato un preciso messaggio su quanto reputa importante il piano vaccini e su come intende gestirlo. Anche perché le notizie sul fronte dei contagi non sono buone, il tasso di positività aumenta ancora così come ricoveri e terapie intensive, tanto che il primo Dpcm dell’era Draghi è votato alla gestione di chiusure e nuove strette, soprattutto per quanto riguarda le scuole.

Un’ultima riunione con i ministri competenti per le limature al testo, poi la firma.

Per arrivare a un accordo Draghi ha convocato alcuni ministri – Speranza (Salute), Gelmini (Affari regionali), Daniele Franco (Economia), Patrizio Bianchi (Scuola), Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico), Dario Franceschini (Cultura), Stefano Patuanelli (Politiche agricole), Elena Bonetti (Famiglia) -, i membri del Comitato tecnico scientifico e gli enti locali.

Il primo dpcm dell’era di Mario Draghi conferma  le linee  del rigore e della salvaguardia del sistema a zone, lo stesso che ha caratterizzato gli ultimi mesi del governo di Giuseppe Conte. L’unica novità, prevista già negli scorsi giorni, è una stretta sulle scuole, individuate da Luca Zaia come elemento di aumento delle relazioni sociali che determinano l’innalzamento dell’indice di trasmissibilità.

Il premier ha voluto aggiornare i rappresentanti di tutti i partiti su un capitolo inizialmente non previsto dal testo. Dopo la sollecitazione delle Regioni e la preoccupazione espressa da Mariastella Gelmini e dal titolare dell’Istruzione Patrizio Bianchi, il Comitato tecnico scientifico ha sfornato  nel weekend alcune raccomandazioni, che  saranno  accolte nell’articolato. In zona rossa resteranno chiuse le scuole di ogni ordine e grado, e il ricorso alla didattica a distanza dovrebbe scattare automaticamente anche nei comuni e nelle province che, indipendentemente dal colore della Regione in cui sono collocati, hanno più di 250 casi a settimana ogni centomila abitanti. Nella riunione convocata dal premier la discussione è rimasta aperta sull’estendere o meno il ricorso alla Dad anche in zona arancione, con alcuni ministri che hanno chiesto con forza che prima della chiusura delle aule venissero fermate le altre attività a rischio contagi, a partire da negozi e centri commerciali.

E sono state proprio le Regioni ad avanzare dubbi sulla chiusura delle scuole. È stato il sindaco di Bari e presidente dell’Anci Antonio Decaro a spiegare: “Siamo consapevoli che sia fondamentale salvaguardare la salute, anche con provvedimenti duri, ma allo stesso modo ho posto nuovamente il tema dei controlli sugli assembramenti su strade o piazze da parte delle forze dell’ordine: far sì che si accetti l’interruzione delle lezioni in presenza diventa più complicato se ogni sera ci sono centinaia di ragazzi in giro nei luoghi della movida”. Per il presidente della Puglia Michele Emiliano “deve essere il governo a scegliere non noi”. Il presidente del Veneto Luca Zaia avrebbe invece contestato il parametro dei casi per abitante, sottolineando come questo penalizzi le regioni che fanno più tamponi, mentre il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini avrebbe evidenziato la necessità di prevedere un bonus per le famiglie che lavorano e avranno i bambini a casa.

Dopo la lettura della bozza, i governatori hanno inviato un documento, tenuto riservato, con alcune valutazioni. A fronte di una generale approvazione della struttura, alcuni governatori hanno richiesto che venisse fissata una data certa per la riapertura serale dei ristoranti, così come avverrà per cinema e teatri, che alzeranno le saracinesche in zona gialla a partire dal 27 marzo, ma si sono ritrovati davanti un secco diniego: “Troppo rischioso per l’aumento di contatti e socialità che ne deriverebbe, impossibile per ora definire un timing”, spiega una fonte vicina al dossier.

“Nel decreto sostegno abbiamo previsto risorse per 200 milioni di euro” per supporto alle famiglie sul tema dei congedi parentali. Lo dice il ministro per gli Affari Regionali Maria Stella Gelmini in conferenza stampa a Palazzo Chigi. “Non parlerei di chiusura delle scuole: l’intendimento è tenerle aperte, tutti le vogliamo aprire. C’è la volontà di giocare la partita dalla parte della scuola, ma è chiaro che c’è un problema legato alle varianti che non si acuisce nei bambini ma crea una problematica nel contagio. Laddove strettamente necessario per le varianti si impone la sospensione dell’attività in presenza” precisa la ministra Gelmini.  “La scuola è una funzione essenziale del Paese, faremo di tutto per garantirne il funzionamento. La scuola a distanza è un’estrema ratio” afferma Speranza.

Si va dunque verso la conferma delle limitazioni già in vigore, estese fino al 6 aprile ad includere le festività pasquali, con l’aggiunta della fascia arancione scuro, nella quale le scuole saranno chiuse e scatterà il divieto di raggiungimento delle seconde case. Resta il divieto di spostamento tra Regioni anche se in fascia gialla, e la chiusura serale per ristoranti e bar. In zona rossa, in aggiunta alle attività per le quali è già prevista la chiusura, si prevedrà lo stop anche per barbieri e parrucchieri.

La linea del rigore che sembra comunque, per ora, caratterizzare anche questo governo è supportata dai numeri: scrive Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), che sono passate da 8 a 9 le regioni che sono sulla soglia critica del 30%, o l’hanno superata, dei posti letto in terapia intensiva occupati dai malati di Covid. Le situazioni più critiche si hanno in Umbria (56%), Molise (49%) e la Provincia autonoma di Trento (47%). Seguono poi Abruzzo (40%), Friuli Venezia Giulia (35%), Marche (32%), Emilia Romagna (31%), Lombardia (31%),  Provincia autonoma di Bolzano (31%) e Toscana (30%) . A livello nazionale la media è del 25%. Non sono lontane dalla soglia critica Piemonte (28%) e Puglia (29%), anche se quest’ultima è scesa dell’1% rispetto al precedente monitoraggio. Le situazioni migliori si hanno in Sardegna e Basilicata (9%), Val d’Aosta (10%) e Veneto (11%).

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