La politica estera, ha affermato Antonio Tajani in una recente intervista a Repubblica, è una questione complessa che richiede rigore e responsabilità.: “La politica estera si deve fare in maniera costruttiva. È una cosa seria. Ogni parola va pesata, ponderata, calibrata. C’è di mezzo un Paese. E quindi la linea viene espressa dal presidente del Consiglio e dal ministro degli Esteri”.
Tajani ha risposto alle dichiarazioni pretestuose di Matteo Salvini riguardanti il pronunciamento della Corte Penale Internazionale su Benjamin Netanyahu, chiarendo che le opinioni di un leader di partito non rappresentano automaticamente la posizione del governo. “Un leader di partito parla di quello che vuole, ma restano opinioni politiche di leader di partito, che però non diventano automaticamente la linea dell’esecutivo”.
Tajani ha sottolineato, prima dell’evento di Fiuggi, che il governo italiano intende approfondire la sentenza della Corte Penale Internazionale prima di prendere una posizione ufficiale. “Vogliamo prima leggere le carte, capire le motivazioni della sentenza, ragionare su cosa sostiene la Corte”, ha dichiarato. Pur riconoscendo e sostenendo l’operato della Corte, il ministro ha evidenziato l’importanza di mantenere un approccio giuridico e non politico.
In un contesto internazionale segnato dalla violenza in Gaza e in Libano, Tajani ha ribadito che la priorità deve essere fermare le morti e promuovere la pace. “Nel pieno di una guerra di questa violenza il primo obiettivo degli Stati, e della Repubblica italiana, è quello di trovare alleanze politiche per fermare le morti a Gaza e in Libano, per ritornare a un percorso diplomatico. Noi dobbiamo portare la pace a Gaza, non dobbiamo credere che portare qualcuno in carcere aiuti la pace”.
Antonio Tajani ha insistito sull’importanza di un approccio costruttivo e responsabile alla politica estera. Le decisioni, ha spiegato, devono essere basate su un’attenta riflessione e non su impulsi emotivi o considerazioni di parte. Le priorità della Farnesina sono chiare: sostenere il dialogo e creare le condizioni per il ritorno alla diplomazia.
Ma, aldilà dei proclami, non saranno arrestati. Non li arresteranno perché questo avverrebbe se, per esempio, entrassero negli Stati Uniti e in Russia, Cina ed Israele che non riconoscono la Corte penale internazionale. Quando la Corte fu istituita nel 2001, con lo Statuto di Roma, loro non firmarono. A questo punto bisogna chiedersi se i due rischierebbero l’arresto se entrassero in un paese, che sono 124, che accetta la giurisdizione della Corte. In realtà non lo sarebbero sul piano pratico, lo sarebbero solo sul piano teorico. Come osserva il ministro Guido Crosetto è un problema che riguarda le regole che non ci sono, se ci fossero bisognerebbe applicarle. Tutto qui.
In concreto è il singolo Stato che decide se arrestare, eseguendo le sentenze, per poi estradare all’Aia, in Olanda, dove c’è la Corte. Ma, altra domanda, qual è la sanzione per la Nazione che ignora la Corte? Nessuna. Oggi, a primeggiare sono ancora i rapporti economici prima che diplomatici, e di volta in volta ci si può mettere d’accordo, basterà guardare ai precedenti. La Corte dell’Aia il 17 marzo 2023 ha chiesto l’arresto di Vladimir Putin e Maria Belova (quest’ultima commissario Russo per i diritti dei bambini) e non è successo niente. Putin è stato per esempio in Cina, in Bielorussia, in Uzbekistan, in Kirghizistan (che riconosce il Trattato di Roma) e poi in Vietnam, in Corea del Nord ma anche in un altro paese, la Mongolia, che riconosce la giurisdizione della Corte e tuttavia ha ricevuto Putin (marzo 2023) con un tappeto rosso nella piazza centrale di Ulaanbaatar e soldati a cavallo e una banda musicale che suonava inni marziali; eppure, prima del viaggio, la Corte dell’Aia aveva dichiarato che la Mongolia era obbligata ad arrestare Putin come pure aveva esortato a fare il ministro degli esteri ucraino. Non accadde alcunché. Diciamo poi che il primo ministro di Israele gode, attualmente, di maggiori appoggi e solidarietà.
La Corte dell’Aja assume un ruolo complementare rispetto alla giurisdizione degli Stati che vi hanno aderito, per questo motivo ha lo scopo di investigare e processare gli individui che abbiano commesso gravi crimini internazionali che violano i diritti umani.
La Corte penale internazionale è solo concepita come legata alla comunità internazionale ma non è una Corte delle Nazioni Unite, a differenza della Corte internazionale di giustizia che è l’organo giudiziario principe ONU.
L’efficacia della CPI è stata oggetto di dibattito e critiche, soprattutto in relazione alla sua capacità di esercitare la sua giurisdizione in modo efficace e alla sua indipendenza politica.
Composto dal preambolo, 13 parti e un totale di 128 articoli, lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale regola i rapporti tra il Tribunale dell’Aja e le istituzioni internazionali, fissa i principi fondamentali, la sua giurisdizione e descrive la composizione e le funzioni che esercitano gli organi che lo compongono.
La Corte penale internazionale (CPI), anche chiamata Tribunale dell’Aia, è il primo organo a esercitare la propria giurisdizione internazionale in via permanente poiché ha il compito di giudicare gli individui che abbiano commesso gravi crimini di rilevanza internazionale, che violano i diritti umani – come nel caso dei crimini di guerra e di genocidio.