Coronavirus, il gruppo sanguigno più colpito: studio sulle cause

Il coronavirus Sars-CoV-2 è ancora circondato da molti misteri, nonostante i moltissimi studi condotti in tutto il mondo per cercare di comprendere la sua natura. Uno di questi ha cercato di far luce sul perché il gruppo sanguigno di tipo A sembra essere quello più colpito.

Paolo Bonfanti, professore di malattie infettive all’Università di Milano Bicocca e autore di una ricerca pubblicata sul New England Journal of Medicine, ha dichiarato quanto riportato da Repubblica: “Abbiamo notato questa correlazione, ma per spiegarla serviranno altri studi. Non abbiamo spiegazioni valide”.

Un precedente studio effettuato dalla società di test genetici 23andMe aveva sottolineato che il gruppo sanguigno che godeva di maggior protezione nei confronti del virus è quello di tipo 0. E già a marzo, a Wuhan, i medici avevano osservato che dei pazienti con forme più acute della malattia, il 38% aveva il gruppo A.

Stando a quanto osservato dallo studio italiano, il 41% dei malati è di gruppo A mentre il 25% è di gruppo B. E c’è di più: oltre alla semplice proporzione, i ricercatori del Policlinico di Milano, Istituto Humanitas e San Gerardo di Monza hanno cercato di indagare sulle cause che hanno portato a questi risultati.

Ma sul perché alcuni siano più esposti di altri, pur entrando a fondo nel campo della genetica e schierando addirittura l’intelligenza artificiale, lo studio non ha saputo trovare una risposta.

Giuseppe Novelli, genetista dell’Università Tor Vergata, ha spiegato: “Quando non sappiamo che pesci prendere, facciamo un Gwas”. Il “Genome Wide Association Study” consiste nell’incrociare i dati di numerosi pazienti, anche in aree geografiche diverse, per rilevare dei tratti genetici in comune che potrebbero indicare i motivi per cui qualcuno si ammala più di altri.

“A volte va bene, troviamo correlazioni significative, altre volte no”, ha aggiunto Novelli. E nel caso del Covid-19, lo studio non ha condotto al successo.

Bonfanti ha sottolineato: “Quel che sappiamo è solo che i gruppi sanguigni sono legati ad assetti diversi del sistema immunitario”. Una situazione analoga si verificò con la Sars nei primi anni del 2000, ma dal momento che l’epidemia finì piuttosto in fretta non è stato approfondito il legame.

La conclusione a cui giunge Novelli è che, sulla base delle differenze fra i gruppi sanguigni, ai quali corrispondono diverse risposte immunitarie e proteine presenti sulle cellule, è possibile che “i gruppi sanguigni siano coinvolti in qualche modo nelle strategie di ingresso del virus nelle cellule”.

“Ma il nostro studio è solo un punto di partenza. Uno di quei lavori che non ci danno risposte definitive. Ma semplicemente ci indicano una direzione da seguire per scoprire di più”, ha concluso Bonfanti.

Nel frattempo, l’analisi delle acque di scarico di alcune città italiane ha evidenziato la presenza di tracce di coronavirus ben prima dello scoppio della pandemia.

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