(FILES) In this file picture taken on April 29, 2020, an engineer looks at monkey kidney cells as he make a test on an experimental vaccine for the COVID-19 coronavirus inside the Cells Culture Room laboratory at the Sinovac Biotech facilities in Beijing. - The global death toll from the coronavirus pandemic topped a quarter of a million on May 5, 2020, with the US government predicting a further surge in fatalities as an international vaccine drive garnered 8 billion USD in pledges. (Photo by NICOLAS ASFOURI / AFP)

Coronavirus, cos’è la “cascata”: nuova scoperta in pazienti gravi

I pazienti affetti da forme gravi di Covid-19 sono da mesi al centro degli studi dei ricercatori di tutto il mondo. Fino a oggi, gli occhi dei medici erano puntati sulla cosiddetta “tempesta di citochina”, un’infiammazione che si pensava fosse responsabile del danno a livello polmonare. Ora, invece, alcuni studiosi italiani hanno spostato l’attenzione del mondo scientifico sulla “cascata del complemento”.

Si tratta della “attivazione a cascata” di una serie di proteine “in maniera molto simile a quella della coagulazione”. Per la prima volta, hanno spiegato gli autori dello studio, è stato dimostrato “come in corso di Covid-19 grave sia attivata proprio questa cascata del complemento”.

La ricerca è stata pubblicata sul “Journal of Allergy & Clinical Immunology”, come riporta Il Messaggero, ed è stata condotta dagli Irccs Policlinico di Milano e Istituto Auxologico Italiano.

Tutti i 31 pazienti con insufficienza respiratoria presi in considerazione per la ricerca “avevano segni di attivazione della cascata del complemento”, ha assicurato Massimo Cugno del Policlinico di Milano. “La presenza di prodotti di attivazione del complemento in questi pazienti si è dimostrata associata al grado di gravità della malattia”.

La “cascata del complemento”, nominata dai ricercatori, avrebbe una funzione fondamentale per difendere l’organismo dagli agenti effettivi e scatenare – allo stesso tempo – una risposta immunitaria in grado di far precipitare il quadro clinico in breve tempo.

Con la sua inibizione, hanno concluso gli autori dello studio, potrebbe esserci “un potenziale terapeutico in corso di Covid-19 grave perché, agendo contemporaneamente sia sull’infiammazione sia sulla coagulazione, può prevenire un ulteriore danno polmonare e sistemico”.

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