Lo scandalo del palazzo nel centro di Londra, in Sloane Avenue 60, comprato dalla segreteria di Stato vaticana utilizzando 200 milioni di dollari dell’obolo di San Pietro e ora al centro di un’indagine della magistratura del Papa, non smette di alimentare polemiche. Polemiche che adesso arrivano a tirare in ballo, via Financial Times, il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, per alcuni incarichi professionali avuti pochi settimane prima di essere indicato come premier della coalizione Lega – Movimento 5 Stelle nell’estate del 2018.

Secondo il Financial Times, un fondo di investimento sostenuto dal Vaticano al centro di un’indagine sulla corruzione finanziaria era alla base di un gruppo di investitori che assunse Giuseppe Conte per lavorare ad un accordo poco prima che diventasse presidente del Consiglio.

Nel maggio 2018 – scrive il foglio della City – Conte è stato ingaggiato per una consulenza legale dal gruppo Fiber 4.0. il cui principale investitore è l’Athena Global Opportunities Fund, fondo sostenuto interamente per 200 milioni di dollari dal Segretariato di Stato vaticano e gestito da Raffaele Mincione.

Il fondo in quel periodo, era impegnata in una battaglia per il controllo della compagnia di telecomunicazioni italiana Retelit.

Il fondo, tuttavia, non ne ottenne il controllo perché gli azionisti a Mincione, preferirono due investitori stranieri: la tedesca Shareholder Value Management e la compagnia di telecomunicazioni libica.

Conte, nel suo parere legale del 14 maggio, scrisse che il “voto” degli azionisti “poteva essere annullato se Retelit fosse stata collocata sotto le regole del golden power, che permettono al governo italiano di stoppare il controllo straniero di compagnie considerati strategiche a a livello nazionale”, spiega il quotidiano britannico.

Il legame tra Conte e l’investimento del Vaticano a Londra è proprio nel fondo che ha realizzato l’operazione, Athena Global Opportunities, gestito dal finanziere Raffaele Mincione.

Di fatto la segreteria di Stato è stato l’effettivo proprietario delle azioni fino al novembre del 2018, quando la transazione tra Mincione e il Vaticano non portò a una divisione delle attività: al Vaticano andò l’intero palazzo; a Mincione gli investimenti mobiliari più un conguaglio di 44 milioni di euro in contanti. È proprio quando Mincione, nella primavera del 2018, scala Retelit, candidandosi anche come presidente della società, che spunta il nome di Conte. È il Financial Times a ricordare il ruolo di Conte in questa partita, evidenziando come l’allora avvocato Conte a maggio di quell’anno emise un parere giuridico a favore di Fiber 4.0, una cordata di azionisti di Retelit capitanata al 40% da Athena, secondo il quale il voto dell’assemblea dei soci sulla nomina del consiglio di amministrazione avrebbe potuto essere impugnato dal governo usando il «golden power», cioè un potere di intervento dell’esecutivo su società considerate strategiche. Secondo l’allora avvocato Conte, Retelit avrebbe potuto finire sotto il controllo della cordata avversaria, composta dai tedeschi di Shareholder Value e soprattutto – e qui stava il rischio, secondo Conte – dalla società telefonica di Stato della Libia, Lybian Post Telecommunications, che era in realtà azionista da anni.

A vincere la corsa per il controllo di Retelit fu la cordata opposta a Mincione. Il 7 giugno il neonato governo Conte emanò il decreto che applica a Retelit il golden power, dichiarandone strategiche le attività. Allora il governo stabilì che Retelit garantisse «la continuità del servizio e la funzionalità operativa della rete, assicurandone l’integrità e l’affidabilità, attraverso adeguati piani di manutenzione e sviluppo». In secondo luogo che doveva «assicurare» investimenti «che garantiscano lo sviluppo e la sicurezza delle reti», che la gestione della rete rimanesse in Italia e fosse messa in sicurezza, «tutte attività che — spiegò allora Retelit — vengono già vengono già regolarmente svolte dalla società».

 “In democrazia conta il voto, non ci sono spallate. Se quello che scrive il Financial Times fosse solo parzialmente vero in qualsiasi Paese ci sarebbero le dimissioni tre minuti dopo”. Così il leader della Lega Matteo Salvini a Perugia, nella conferenza stampa sul voto in Umbria.

“Se un giornale autorevole come il Financial Times ipotizza dubbi, ombre o conflitti di interesse, mi aspetto che il presidente del Consiglio corra in Parlamento a riferire. Se non ritenesse di farlo lui, già oggi stesso glielo chiederemo noi”, aggiunge Salvini rispondendo alla domanda se il gruppo parlamentare della Lega chiederà formalmente al premier Conte di riferire sui fatti contestati dal Financial Times. E sottolinea: “Dovrebbe farlo senza che la Lega glielo chiedesse”.