Conte e Letta tra vicepresidenti e osservatori indipendenti

Lucia Annunziata, sempre attenta alle fallaci novità politiche invita a brevissima distanza Giuseppe Conte, spalleggiato dai suoi nuovi  cinque nuovi vicepresidenti, da lui stesso presentati al pubblico durante la trasmissione, e   Enrico Letta che ha i suoi sei  ‘osservatori indipendenti’.

La cosa può sembrare anomala per entrambi, come è anomalo immaginarli e visionarli con una squadra di supporter, ma non lo è.  Sia Letta sia Conte sono stati insediati alla guida dei rispettivi partiti  in base a un accordo tra i principali capicorrente, cui è seguito un voto unanime – anche perché in entrambi i casi il candidato era uno solo – da parte della direzione (per Letta) o della rete (per Conte). Entrambi, per prima cosa, hanno tentato di intervenire nella scelta dei capigruppo di Camera e Senato. Letta ha ottenuto una vittoria apparente ed è solo riuscito a far dimettere  Andrea Marcucci; Conte ha rimediato una sconfitta secca visto che il suo candidato al Senato era il capogruppo uscente, Ettore Licheri che, dopo essere andato alla conta, e aver visto di non avere i numeri, si è dovuto ritirare.

Letta si lamenta dello strapotere delle correnti e per affrancarsene prova a fare leva sulla retorica del rinnovamento e della società civile come modo di legittimare la costruzione della propria corrente e del proprio gruppo dirigente, se esterno allo stesso partito meglio ancora.

Va anche detto che i nomi degli «osservatori» scelti da Letta – dallo scrittore Gianrico Carofiglio alla vicepresidente della Regione Emilia Romagna Elly Schlein – appaiono di caratura superiore rispetto a quelli del Movimento 5 stelle, se non altro sul piano della notorietà. È comunque interessante il fatto che l’oggetto delle loro osservazioni sia un articolato processo di elaborazione di idee e proposte «dal basso», attraverso le cosiddette Agorà democratiche (assemblee in parte virtuali in parte reali, composte di iscritti e non iscritti).

 E se da questo processo semi-virtuale di democrazia partecipata, deliberativa, semidiretta o comunque lo si voglia chiamare, emergerà davvero un modo nuovo di fare politica. La retorica con cui viene presentato non è nuovissima. Dal canto loro Conte e i cinquestelle abbandonano la piattaforma Rousseau e ormai parlano solo di organismi dirigenti e vicepresidenti.

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