Il presidente del consiglio Giuseppe Conte esce da Palazzo Giustiniani al Senato. Roma, 29 agosto 2019 ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Conte al lavoro sul governo bis

Responsabilità e serietà, nel segno di un “nuovo umanesimo” senza colore politico e che, in fondo, rappresenta il trait d’union tra il “Conte 1” e il “Conte 2”. Sin dal suo discorso alla Vetrata il premier incaricato Giuseppe Conte si prepara a formare un governo che rispecchi più il suo stile e che abbia, forse anche in qualche profilo della squadra dell’esecutivo, la sua impronta. Ma non l’attende una trattativa facile, con il nodo vicepremier a tenerlo in costante pressione tra un Luigi Di Maio deciso a non abdicare a questo ruolo e un Pd che, a partire da Nicola Zingaretti, punta a un vice unico che faccia riferimento al Nazareno. Certo, rispetto al maggio 2018 il raggio d’azione per il premier è molto più ampio. Tanto che nel M5S si dicono sicuri che se Conte si adoperasse per tenersi Di Maio vice alla fine il Pd si convincerà. L’incognita, tuttavia, sta nel grado di incisività che Conte vorrà metterci. Un incisività sulla quale, al momento, il Movimento resta prudente.

E’ in un lungo pranzo con il presidente della Camera Roberto Fico che il presidente incaricato, nella sua prima giornata di consultazioni, affronta forse i nodi più delicati del futuro governo. La sintonia tra i due è ormai accertata e Fico e Conte, al momento, rappresentano un asse deciso a far sì che il governo giallorosso non nasca zoppo. Spetterà quindi a Conte decidere se, per il nuovo esecutivo, sarà un maggior danno scontentare Di Maio o Zingaretti.

Il M5S, insomma, non cede e la votazione su Rousseau, infondo è un’ulteriore arma di pressione messa in campo. Il voto potrebbe essere indetto mercoledì prossimo, ovvero il giorno dopo che Conte vedrà, stando alla probabile scaletta di queste ore, i gruppi che formeranno la nuova maggioranza e il giorno prima del possibile giuramento. Nel Pd, ovviamente, lo schema è opposto: quello di un vicepremier Dem e un sottosegretario scelto da Conte, considerato, con decisione, emanazione del M5S. Il problema è che nel discorso al Quirinale Conte non ha mai nominato il M5S né i Dem stessi, svolgendo una sorta di manifesto programmatico “a-colore”.

Nella prima giornata di consultazioni il presidente incaricato affronta anche il “nodo dei piccoli”, decisivi per la maggioranza al Senato. Maggioranza che potrebbe essere ulteriormente blindata con una opposizione “calibrata” di una parte di Forza Italia, almeno nelle suggestioni trattativistiche che stanno circolando in queste ore. Intanto, il professore incassa il sì del Psi (un senatore, Nencini), dell’Union valdostane ma solo l’astensione di Svp. +Europa tace al momento, divisa tra la “mozione” Bonino, contraria all’alleanza Pd-M5S e quella Tabacci, favorevole. Partiti piccoli ma decisivi, assieme a Leu per la sopravvivenza giallo-rosso. Per questo è probabile,che a Articolo 1 o Sinistra Italiana vada alla fine anche un ministero.

Stretto nella morsa del M5s e protetto da un pugno di fedelissimi, Luigi Di Maio si sente sotto assedio e prova a reagire. Non sono bastati gli attestati di vicinanza dei parlamentari pentastellati, sollecitati con batterie di post sui social network. Il capo politico, il 29 agosto, ha chiesto ai capigruppo di Camera e Senato di convocare una conferenza stampa per ribadire che il M5s non pensa alle poltrone, perché la stella polare rimangono i cittadini. Concetti sintetizzati in una frase detta dal fedelissimo Stefano Patuanelli, capogruppo del M5s al Senato: «Chi tocca il nostro capo politico tocca ciascuno di noi. Questo deve essere molto chiaro, il M5s è un monolite».

I pentastellati provano anche a sgomberare il campo dai sospetti, sempre più diffusi, secondo cui Di Maio starebbe giocando la partita del Conte bis pensando essenzialmente al suo futuro personale: «La questione del vicepremier non l’abbiamo tirata fuori noi. Non abbiamo mai parlato, nemmeno col Pd, di tutto questo», ha dichiarato Francesco D’Uva, capogruppo M5s alla Camera.

Ma per Di Maio le continue prese di distanza di Beppe Grillo sono un problema. L’ultima è quella con cui il garante è tornato ad ammonire contro il rischio di “poltronofilia”, invocando ministri tecnici e proponendo di relegare i politici al ruolo di sottosegretari. Un paradosso, ha coretto poi Grillo. Ma si tratta di un campanello d’allarme che suona per tutto il gruppo degli eletti del M5s. Se i parlamentari entrati in questa legislatura scalpitano per vedersi riconoscere un ruolo, scalpitano anche gli attuali componenti dell’esecutivo.

Entro il 2 settembre Di Maio dovrebbe aver convocato ministri e sottosegretari pentastellati a Palazzo Chigi. Il timore di alcuni di loro è che con la scusa del governo di discontinuità, e considerato il ruolo che ha assunto Giuseppe Conte, il capo politico li possa abbandonare al loro destino. Un dubbio che potrebbe essere suffragato nel caso in cui lo stesso Di Maio dovesse accordarsi per tenersi “solo” un ministero e la guida del Movimento.

Tra sospetti e veleni resta poi l’incognita Di Battista. Il quale, inviso da buona parte dei nuovi eletti, quando si fa sentire crea scompiglio in un M5s già scosso per l’abbraccio con il Pd, e costretto a interrogarsi seriamente sul ruolo di Rousseau. La consultazione della base sull’esecutivo giallorosso dovrebbe avvenire il 4 settembre, ma sono sempre di più i parlamentari che esprimono la loro perplessità sullo strumento. Si augurano che possa servire come elemento di pressione sul Pd, ma non si capacitano del fatto che nel marasma di queste giornate ci fosse “qualcuno” preoccupato unicamente della tempistica della votazione. Per non parlare poi del quesito, che oltre a menzionare Conte potrebbe anche contenere un passaggio sul ruolo di capo politico.

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