Consiglio Europeo: Ue molto divisa con ReArm che diventa ‘Readiness 2030’. Su Ucraina europa esclusa da dialogo Usa-Russia

Il 20 e 21 marzo Bruxelles si è trasformata in un’arena diplomatica, dove si sono intrecciati dossier e tensioni mai risolte. La guerra in Ucraina, la corsa alla competitività e il futuro della difesa europea hanno dominato un vertice messo alla prova dalla tenuta politica dell’Unione. Sullo sfondo, il rebus del nuovo bilancio e l’incognita migratoria.

Si chiude il Consiglio Europeo avviato a Bruxelles e si chiude cambiando il nome del piano principale al centro delle discussioni – da ReArm Europe a “Readiness 2030” (ovvero dal “riarmo” alla “Prontezza” o “Pronti per il 2030”). Si parla un Unione Europea molto poco unita per il momento, che conta ben poco al tavolo internazionale sui pre-negoziati sulla guerra in Ucraina.

Nelle conclusioni, formalmente i 27 capi di Stato danno il via ai pilastri chiave del pacchetto “Prontezza 2030”, concordano sullo stop al Patto di Stabilità per i prossimi 5 anni per spese sulla difesa, aprono alla possibilità alla richiesta di prestiti da 150 miliardi di euro sempre per il riarmo e infine convalida i finanziamenti BEI.

I leader hanno discusso di investimenti in sistemi di difesa aerea, tecnologie per la guerra elettronica e mobilità militare. L’integrazione di droni, cyber intelligence e armamenti avanzati diventa un obiettivo concreto, soprattutto alla luce del “libro bianco sulla difesa europea”, che traccia la rotta per una maggiore indipendenza strategica. Con questo documento, l’Ue sta accelerando gli sforzi per rafforzare il riarmo per la difesa e affrontare le minacce emergenti con un approccio più coordinato.

L’idea trainante è stata quella di ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti, visto che gli Usa per primi hanno fatto sapere che ridurranno gli aiuti militari all’Europa, e dai singoli fornitori esterni, creando un’industria della difesa europea capace di produrre in tempi più rapidi e su scala più ampia. Bruxelles punta su progetti congiunti per sviluppare capacità strategiche comuni, a partire dai sistemi di difesa aerea e missilistica, che oggi rappresentano uno dei punti più critici della sicurezza continentale.

La guerra in Ucraina ha mostrato i limiti dell’attuale assetto europeo, con una produzione bellica ancora frammentata e una lentezza burocratica che ostacola il rapido rifornimento delle scorte.

Sull’Ucraina resta il piano sostegno (tranne l’Ungheria, che non firma questa parte delle conclusioni) in aiuti e armi, anche se il piano Kallas per stanziare ulteriori 40 miliardi di euro verso Kiev è stato bocciato dalla maggioranza del Consiglio UE: «saranno giorni decisivi per l’Europa», richiama Von der Leyen aprendo il summit europeo, dovendo però poi registrare le difficoltà specie sul fronte finanziamenti al piano di riarmo e difesa.

«Aumentiamo la prontezza di difesa dell’Europa entro i prossimi 5 anni», annunciano i leader UE nelle conclusioni finali dove si invita ad agire in maniera urgente a livello europeo per capire quali saranno le «opzioni di finanziamento» di tale piano strutturale che somiglia (sinistramente) al Next Generation EU durante la pandemia.

Nel documento strategico si delineano una serie di ambiti d’azione prioritari, in linea con la Nato e con l’obiettivo di garantire maggiore interoperabilità tra le forze armate europee. Tra le aree di intervento principali:

difesa aerea e missilistica;
sistemi di artiglieria;
missili e munizioni;
droni e sistemi antidrone;
abilitanti strategici;
mobilità militare;
intelligenza artificiale, questioni cibernetiche e guerra elettronica.

A tre anni dall’invasione russa, Bruxelles conferma l’impegno a sostenere Kiev. Il conto, finora, ammonta a 138,2 miliardi di euro, con 49,3 destinati agli aiuti militari. Nel 2025, altri 30,6 miliardi arriveranno attraverso finanziamenti mirati e contributi del G7.

L’Europa si muove su un filo sottile tra la volontà di restare un colosso industriale e il rischio di cedere il passo ad altre potenze. La risposta di Bruxelles ruota intorno a tre direttrici: taglio della burocrazia, nuovi investimenti e una politica energetica che non affossi la manifattura.

L’innovazione tecnologica, la riconversione green e la crescita delle competenze professionali sono i pilastri su cui si punta per tenere in piedi l’industria europea. Ma il cuore della discussione è un altro: la manifattura pesante, il settore automobilistico e la siderurgia stanno pagando il prezzo delle regole ambientali sempre più rigide e della concorrenza internazionale.

Nel menù del vertice presente anche il prossimo Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) 2028-2034. La questione non è solo trovare risorse, ma capire come evitare che il peso dei rimborsi legati al piano Next Generation Eu (ossia il Pnrr) diventi insostenibile. Il bilancio europeo è sotto pressione e serve un piano per ottimizzare i fondi senza dover tagliare capitoli essenziali.

Difficile la posizione che l’Italia di Meloni prova ad interpretare in un Consiglio Europeo, e in generale in un periodo geopolitico, così delicati: nel punto stampa tenuto ieri in conclusione del summit a Bruxelles, la Presidente del Consiglio ha ribadito una sostanziale equidistanza “positiva” sia con l’Europa che con gli Stati Uniti, ringraziando lo sforzo della Commissione per dotare l’UE di un futuro di difesa comune, così come i negoziati americani per far finire subito la guerra Ucraina-Russia. In tutto questo, con la spinta della Lega, il Governo non vuole siglare “assegni in bianco” alla Commissione Von der Leyen per impostare un welfare tutto orientato alla guerra e alla spesa militare nei prossimi anni.

«Servono strumenti comuni per la difesa», ha sottolineato la Premier Meloni, in particolare tramite il contribuito di aziende e privati come richiede il modello Invest-EU, in modo da non «gravare direttamente sul debito degli Stati membri UE», seguendo la linea del Ministro dell’Economia Giorgetti. La proposta italiana è stata inserita nel piano di investimenti citato nelle conclusioni del Consiglio UE, ma il percorso è ancora lungo per arrivare a definire un vero cronoprogramma in merito.

Medio Oriente e migrazione: dossier aperti

La crisi mediorientale entra nei lavori con il focus sulla situazione a Gaza e in Siria. Il sostegno umanitario è un pezzo della strategia, ma serve, secondo l’Ue un’iniziativa diplomatica più incisiva per evitare che il conflitto si allarghi.

Sul fronte migratorio, si fa il punto su rimpatri e gestione dei flussi. L’Europa cerca di rendere più efficiente il meccanismo di distribuzione dei migranti tra gli Stati membri, ma la tenuta del sistema continua a essere precaria.

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