Considerazioni di Barbara Lalle sullo spettacolo ‘Democracy in America’ messo in scena al Teatro Argentina di Roma

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, la considerazioni di Barbara Lalle sullo spettacolo ‘Democracy in America’ messo in scena al Teatro Argentina di Roma.

‘Democracy in America’ la cui prima è stata a Prato al Teatro Metastasio nell’aprile 2017, è stato in scena questo fine settimana, dall’11 al 13 Maggio al Teatro Argentina di Roma.

‘Non è uno spettacolo politico ma una riflessione sulla politica’.

A dirlo è stato lo stesso regista, scenografo e autore pluripremiato (3 premi Ubu, Leone d’oro alla carriera) Romeo Catellucci, personaggio di primo piano del teatro contemporaneo europeo, fin dal 1981 anno in cui ha fondato la Societas Raffaello Sanzio per realizzare una forma di teatro che riunisce tutte le espressioni artistiche.

La riflessione di Alexis de Tocqueville, nel testo, fondamentale nella cultura politica occidentale moderna, da cui prende il nome lo spettacolo, sull’origine della democrazia americana dall’egualitarismo di stampo biblico dei coloni puritani che identificano l’America con la nuova Terra Promessa dell’Antico Testamento è messa alla prova alla luce della sua realizzazione concreta con lo strumento principe di critica della politica e delle forme sociali che è, fin dalla sua nascita in un’altra democrazia, quella ateniese, il teatro.

Ma di quale teatro si tratta? Di quello di Castellucci appunto; di una forma d’arte globale in cui il testo letterario scompare e le immagini, i suoni, i corpi degli attori recuperano un ‘rito senza nome’ indefinito e arcaico, che precede la nascita del teatro e porta alla luce il lato oscuro della società e dell’individuo.

Il nucleo drammatico , sviluppato nella parte centrale dello spettacolo, ruota attorno alla storia di una coppia di contadini puritani, Elisabeth e Nathaniel, interpretati da Olivia Corsini e Giulia Perelli, che hanno creduto alla promessa del Dio dell’Esodo di una terra che assicuri abbondanza materiale a tutti. Ma questa promessa non è mantenuta, la terra destinata non da frutti, nonostante gli estremi a cui arrivano per avverarla, uno dei quali è lo scambio della propria figlia con un aratro,  ed Elisabeth passa dalla preghiera alla blasfemia, si affida alle formule magiche e alle credenze dei nativi americani, attirando sulla coppia la condanna e l’ostracismo della comunità dei coloni.

Attorno a questa semplice storia, Castellucci intreccia, in una sequenza vorticosa di danza, musica suoni, didascalie, dialoghi una ricchissima serie di temi. Dalla deriva maggioritaria dello spirito comunitario biblico puritano al rapporto tra le scelte del singolo e le regole della vita collettiva, dall’imposizione del consenso allo sterminio delle minoranze e alla persecuzione delle differenze. Ed ecco che compaiono le lamentazioni blues e gli spirituals dei neri americani, la lingua magica dei nativi indiani, le glossolalie del cristianesimo primitivo abbracciate dai Pentecostali  e dal Movimento carismatico, le serie incalzanti di eventi e date della storia cruenta della realizzazione del sogno americano. Tutto questo avviene dietro una serie di schermi trasparenti sovrapposti e duplicati in dissolvenza, che rendono i corpi delle danzatrici e gli oggetti di scena, illuminati da effetti luminosi violenti, della stessa sostanza di ombre sfocate.

Castellucci utilizza e dialoga attraverso molteplici forme di linguaggio verbale e di immagine per interrogare lo spettatore, usando come strumenti Tocqueville e la democrazia americana, sfidandolo ad andare oltre la tentazione di affidarsi alla maggioranza rassicurante, al gruppo e ci mette davanti uno specchio per guardare le nostre di ombre.

Barbara Lalle

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