Considerazioni ‘Again by now’ messo in scena al Teatro Porta Portese di Roma

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, le considerazioni di Roberto Staglianò su ‘Again by now’ in scena al Teatro Porta Portese di Roma.

 

È andato in scena al Teatro Porta Portese di Roma ‘Again by now – Anatomia di una felice insurrezione’, spettacolo con la regia di Veronica Capozzoli che insieme a Stefano Girolami e Luca Serafini hanno dato vita nel 2008 a ReSpirale Teatro. Una compagnia che nasce a Bologna con l’intenzione di realizzare un laboratorio aperto di sperimentazione teatrale, definito ‘Teatro Solubile ad alta digeribilità’. Uno spazio metafisico dove diversi generi, nuovi linguaggi e mezzi comunicativi si incontrano contaminandosi.

Giulia Olivari e Michele Pagliai sono Berta e Boxer.  La storia è quella di un uomo e una donna, due che da ‘noi’ diventano ‘solo io’ e ‘solo te’. Una coppia normale, come tante, con la loro routine quotidiana. Lentamente muore e finisce quel sentimento che li univa. E così diventano insanabili conflitti le ricette vegane di Berta con pasta e sugo biologici, così come lei stessa non perdonerà a Boxer di non aver mai voluto un cane, né di aver mai lavato i piatti  Centinaia di coppie finiscono ogni giorno così, non Berta e Boxer però. La struttura drammaturgica è caratterizzata da una ciclica ripetitività: la prima scena è il finale che viene replicato nelle successive scene dello spettacolo.  Viene esaminato e messo alla prova in contesti e prospettive diverse generando una sorta di loop ossessivo e compulsivo. L’aver risolto o meno ogni divergenza, l’aver trovato o meno una convergenza, una soluzione. Ogni oggetto, ogni simbolo, ogni emozione, ogni sbaglio, parola o modo di dire, si ripetono quattro, cinque, sei, n volte.

Berta e Boxer sono vittime imprigionate nel loro microsistema e in un sistema macro che fissa in un vortice gravitazionale le scorie di vecchie e nuove schiavitù, promozioni telefoniche e catene tecnologiche. Personaggi televisivi e leader politici presenti solo con le loro voci e con la loro paradossale influenza al punto che anche loro sembrerebbero condannati in un certo senso a non finire mai. ‘Terminati noi, termina ogni immaginazione’ già, ma cosa termina e cosa non termina allora? Termina la relazione borghese di Berta e Boxer, termina una legislatura, termina l’universo che ritornerà ad essere costituito da muschi e licheni? Tutto e niente, come se il Teatro dell’Assurdo, George Orwell e Woody Allen fossero stati fusi in un unico manuale. Giulia Olivari e Michele Pagliai caratterizzando bene i loro personaggi hanno regalato un’ottima prova attoriale, in un efficace equilibrio instabile e di grande impatto tra leggerezza e ironia, surreale, tragico e grottesco.

Sembra che venga mantenuta una certa linearità nella narrazione, la linea orizzontale della regia che sembra trovare un ordine nel disordine, una cronologia che porta inevitabilmente a liberarsi di ogni spazzolino, cellulare, pettine, telecomando, giornale, cose concrete, vestiti…La carezza è una prima immagine e dopo poco arriva la seconda, maggiormente intensa. Spogliandosi da ogni sovrastruttura che di fatto limita la comunicazione espressiva, ritorna prepotente il contatto fisico. Un’altra immagine: Berta e Boxer al centro della scena si abbracciano nudi e stretti l’uno nell’altro.

Il vero atto rivoluzionario è questo: spogliarsi dei loro abiti, delle loro paure e limiti, delle loro convinzioni. Ultima immagine, i due protagonisti non ci sono più, oggetti e vestiti sparsi in scena. Inizia il video del matrimonio e colpisce il fatto che nelle riprese non compare un invitato, sono soli anche nel filmato, Ridono, scherzano, si muovono senza nessuno intorno.

Nel momento in cui si avvicina la fine, si torna indietro. Il nastro si riavvolge. Si accendono le luci in sala. Sembra la fine, ma non lo è.  Giulia Olivari e Michele Pagliai sono nel pubblico e Boxer e Berta ritornano al loro primo incontro, una serata al cinema.

Lo spettacolo inizia dalla fine e finisce con un salto all’indietro nel tempo, il loro inizio. Questa volta il loop serve come un pretesto drammaturgico per non farci vedere la fine, l’evoluzione della storia e dei rapporti e anche per restituire un’illusione di libertà.

Foto di Edward Ralph

Roberto Staglianò

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