Commemorazione di Bettino Craxi con un doveroso tributo alla sua eredità politica

La commemorazione di Bettino Craxi, avvenuta nel piccolo cimitero all’ombra della Medina di Hammamet, ha rappresentato un momento di riflessione profonda per molti italiani. La firma “A nome di tanti italiani” sul registro dei presenti, accompagnata da un mazzo di fiori bianchi e rossi sulla sua lapide, ha simboleggiato non solo un tributo personale, ma anche un riconoscimento collettivo della sua eredità politica. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha voluto essere presente a questo evento per sottolineare l’importanza di Craxi nella storia del nostro Paese.

Accanto a La Russa, anche il vicepremier Antonio Tajani ha partecipato alla cerimonia, insieme ai figli di Craxi, Stefania e Bobo, e a numerosi simpatizzanti e amici. La presenza di figure istituzionali di alto profilo ha rimarcato l’importanza di Craxi come “grande figura della storia”, come affermato dallo stesso La Russa. Le parole di Tajani hanno ulteriormente evidenziato il ruolo cruciale che Craxi ha avuto nella politica estera italiana, paragonandolo a nomi illustri come Andreotti e Berlusconi.

Nel corso dell’ultima puntata di Porta a Porta dedicata a Bettino Craxi, sono state offerte analisi approfondite sull’attualità del pensiero craxiano. Il direttore de Il Tempo, Tommaso Cerno, ha sostenuto l’attualità del pensiero craxiano: “Io nasco a metà degli anni ‘70 e vedo di Craxi il grande sogno: il primo leader dopo la Democrazia Cristiana che si mostra nelle fattezze della modernità, suo ruolo innovativo nel ridefinire la sinistra italiana, anticomunista, contro il catto-comunismo, socialista tricolore. Ma di lui riusciamo a vivere solo la decadenza, il finale. Quello fu il primo processo sommario, popolare e pubblico, senza le ragioni della giustizia e della difesa. Il ruolo di Craxi come statista è indiscutibile. Ha ricordato le parole della figlia Stefania Craxi, secondo cui: “Mio padre o era un criminale o era uno statista”, concludendo: “La risposta era più uno statista, senza ombra di dubbio”.

Cerno ha poi tracciato un parallelo tra il proto-sovranismo elegante di Craxi e alcune delle politiche attuali: “Il tricolore, l’inno, il made in Italy, l’autonomismo, l’anticomunismo sembrano le parole d’ordine che oggi il governo di destra cerca di accogliere e portare in una dimensione storica diversa”. Ha evidenziato come queste idee siano oggi più vicine a Giorgia Meloni rispetto a Elly Schlein e al Partito Democratico.

Tra gli ospiti della puntata erano presenti anche Piero Fassino, Fabrizio Cicchitto, Massimo Franco e Stefania Craxi. La figlia di Bettino ha espresso critiche verso il Partito Democratico, domandandosi: “Il PD della Schlein sta con l’Occidente?”.

Fassino ha respinto l’accusa, contestando in particolare le affermazioni sul congresso di Milano e la questione dei due popoli e due stati. Cerno ha replicato: “Il congresso di Milano, Peres e il braccio destro di Arafat: tutto quello che oggi la sinistra contesta”.

Il confronto si è concluso con un punto di equilibrio. Cerno ha riconosciuto a Fassino alcuni meriti ma ha evidenziato: “Diciamo che c’è un po’ di confusione in piazza, non da parte tua, ma c’è un po’ di confusione”.

Vittorio Craxi, al secolo Bobo, aveva 36 anni quando il padre Bettino moriva ad Hammamet. Ne ha seguito le impronte nel PSI, diventando anche sottosegretario di Stato agli affari esteri con delega ai rapporti con l’ONU nel secondo governo Prodi.

Per raccontare la morte di Bettino Craxi bisogna partire dalla fine della Prima Repubblica, tecnicamente fu un Colpo di Stato ma io la chiamo “Guerra sporca”: ogni metodo fu buono per spazzare via il vecchio regime democratico. Assoldarono contractors per le perquisizioni e le intimidazioni, lettere e telefonate anonime. Tentarono persino omicidi. In Tunisia io mi sono salvato due volte da due incidenti stradali che provocarono degli infiltrati dentro casa. Fu arrestato e rilasciato un uomo che sotto copertura di servizi internazionali aveva il compito di far fuori mio padre Bettino.

Perfino per mandare in onda il film di Gianni Amelio, Hammamet, la Rai sembra aver esitato. Quel film ha avuto il merito di rendere questa vicenda, romanzandola, un fatto storico popolare. La presenza di un grande attore come Favino ha alimentato l’interesse culturale. Le giovani generazioni si sono approcciate con curiosità alla vicenda storico-politica senza pregiudizi. Dopodiché l’inziale censura della Rai ha dimostrato che sulla figura di Craxi, anche sul grande schermo, vige un ostracismo da parte di chi collaborò alla guerra sporca del ’92. Mani Pulite fu una guerra sporca. Di cui adesso affiorano gli elementi probatori. Il metodo del pool, del fascicolo unico. Con il giudice terzo che era sostanzialmente un cagnolino al loro guinzaglio. Chi si comportò in modo disumano fu soprattutto Borrelli. E d’altra parte i conti con questo signore li ha regolati la natura. All’inizio avevano pensato di essere loro i destinatari dell’operazione Guerra sporca, pensavano che avrebbero avuto le chiavi d’accesso alle stanze del potere. Poi però, come tutte le compagnie di ventura, finita la missione, si è sciolta. Tutti gli ‘eroi’ di Mani Pulite hanno ricevuto dei premi, per poi scomparire uno a uno. Qualcuno ha perfino avuto modo di pentirsi.

Il 1992 era un momento di cesura tra due epoche, fine della guerra fredda, inizio della globalizzazione. E quelle che furono le implicazioni internazionali e le complicità interne sono emerse soltanto parzialmente. Allora la guerra sporca generò un totale asservimento di poteri dello Stato e grandi pezzi dell’informazione che portarono alla demonizzazione, quindi all’inquisizione dei leader di quella stagione. Premendo perché il sistema dei partiti esistenti, già debilitati per propria mano, arrivasse al collasso, al suicidio e comunque alla sparizione. La sparizione del Psi è il frutto di una dottrina. I colpi di Stato hanno bisogno di cancellare le tracce del regime precedente. Avendo cura di disperdere, disorientare o distrarre l’opinione pubblica: prima denigrare l’avversario, rendendolo il più odioso possibile. Nella prima fase. Poi quando l’opinione pubblica è più malleabile, colpirlo. Anche al povero Salvador Allende è accaduto così. Mio padre Bettino nasce politicamente con la temperie del dopoguerra, prima frontista e poi autonomista nenniano; costruttore del nuovo centrosinistra, uomo di Stato. Grande modernizzatore. Finisce la sua parabola politica su una posizione che potrei definire socialista democratica purissima. Se la morte di un politico è una ricorrenza meramente burocratica, non lo è mai nel suo caso, perché suscita sempre una certa passione.

Bettino Craxi ha fatto la storia, con le sue limpide battaglie. Ha generato un pensiero originale. Ha rappresentato una fase di grande rilancio dell’Italia nel Mondo, ha difeso cause giuste come deve fare un Socialista. Oggi vedo tanti giovani che si incuriosiscono, prendono a studiare la sua figura, cercano di capire non facendosi sopraffare dai luoghi comuni. È una vicenda che rinnova ogni anno la sua attualità nonostante per noi sia sempre un ricordo che ci obbliga a fare i conti con il dolore.

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