Carne e salumi sotto attacco

Dopo l’allarme lanciato dall’Oms e smentito o ridimensionato da mezzo mondo medico e istituzionale, rossa, clonata, certificata che sia, non importa, visto che la carne rossa e gli insaccati sono finiti nel mirino dei consumatori del pianeta. La  Coldiretti ha realizzato un’indagine in base alla quale il 91% degli Italiani non mangerebbe carne o latte proveniente da animali clonati. È quanto emergerebbe dallo studio Coldiretti/IPR marketing in relazione all’adozione, da parte del Parlamento europeo, della risoluzione sui novel food, nel cui ambito di applicazione rientrerebbero anche gli alimenti derivanti da animali clonati. L’Italia può contare sulla leadership europea nella produzione di salumi di qualità con 40 prodotti a denominazione di origine realizzati secondo precisi disciplinari di produzione dall’allevamento, all’alimentazione degli animali fino alla trasformazione. Non solo, visto che in occasione della giornata della carne a Expo, la Coldiretti ha allestito una grande esposizione di salumi tipici regionali a denominazione di origine, dopo lo diffusione delle studio Oms sul consumo della carne rossa. Dal culatello di Zibello alla coppa piacentina, dal prosciutto di San Daniele a quello di Parma, ricordando come il fatturato nella filiera delle carni suine tocchi i 20 miliardi, con 105.000 persone occupate. Un patrimonio messo a rischio dagli allarmismi che colpiscono anche la filiera delle carni bovine dove lavorano 80.000 persone per 12 miliardi di fatturato. Le carni Made in Italy sono più sane, perché magre, non trattate con ormoni e ottenute nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione ‘Doc’. Negli Usa il consumo di prodotti a base di carne è del 60% superiore all’Italia, e l’utilizzo di ormoni e di altre sostanze atte a favorire la crescita degli animali è considerato del tutto lecito. Gli italiani consumano all’anno 78 chili di carne a testa, contro i 125 degli americani, i 120 degli australiani, gli 87 dei francesi. E se dal punto di vista qualitativo la carne italiana è meno grassa, la trasformazione in salumi avviene naturalmente solo con il sale. Al momento, conclude infine la Coldiretti, la spesa degli italiani per gli acquisti è scesa a 97 euro al mese per la carne che, con una incidenza del 22% sul totale, ha perso per la prima volta il primato. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), l’agenzia di cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha valutato la cancerogenicità del consumo di carne rossa e carni lavorate. La bomba lanciata dagli esperti dello Iarc in verità non lo è poi tanto, visto che già dal 2007 l’Organizzazione Mondiale della Sanità suggeriva di ridurre il consumo di carni rosse e lavorate. Bisogna ora chiarire  cosa si intende per carne rossa e cosa si intende per carne lavorata, sottolineando quali siano i reali effetti del consumo di questi alimenti sull’organismo umano. L’analisi dell’Iarc fa riferimento a due tipi di carne: ‘Quella rossa e quella rossa lavorata’. Per carne rossa, scrivono gli esperti, si intendono tutti i tessuti muscolari dei mammiferi e quindi, manzo, vitello, maiale, montone, abbacchio, cavallo, capra, ma anche altri mammiferi il cui consumo è poco diffuso nel nostro paese. Quella lavorata invece comprende tutti i prodotti a base di carne, anche di pollame o altra natura, che hanno subito processi volti ad aumentarne il gusto o migliorarne la conservazione, e quindi salatura, stagionatura, fermentazione, affumicatura, e via dicendo. Che una bistecca sia carne rossa e un wurstel un prodotto lavorato è chiaro. I dati analizzati dall’Iarc, contenuti in oltre 800 studi precedenti, non permettono infatti di valutare le differenze tra consumo di maiale o manzo, prosciutti e salami nostrani e bacon, e neanche di stabilire se carni bianche e pesce siano più o meno rischiosi. La carne lavorata è stata inserita dall’Iarc nel cosiddetto gruppo 1, ovvero le sostanze per cui esistono prove scientifiche sufficienti a stabilire una relazione certa con i tumori. Secondo gli esperti dell’Oms i dati provenienti da studi epidemiologici indicano una correlazione tra consumo di carni lavorate e un unico tipo di tumore, quello del colon-retto. I ricercatori dell’Iarc, parlano di 34mila morti ogni anno riconducibili al consumo di carni lavorate in tutto il mondo. Tanto per fare un confronto, l’alcool causa 600mila morti. Il tabacco ne causa un milione. La carne rossa non lavorata non è invece nel gruppo 1, ma nel 2A, che contiene le sostante per cui le prove scientifiche indicano un probabile, ma non certo, effetto cancerogeno. Il rischio in questo caso è difficile da quantificare vista la mancanza di dati definitivi, ma dall’Iarc calcolano circa un 17% di possibilità di sviluppare un tumore del colon-retto in più per ogni100 grammi di consumo giornaliero, quantificati dal Global Burden of Disease Project in 50mila decessi ogni anno. Le raccomandazioni contenute nei Larn 2014 ( Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana, elaborati dalla Società Italiana di Nutrizione Umana) parlano chiaro, una porzione di carne è da fissare in 50 grammi.   La carne non lavorata ha diversi punti di forza e, in particolare, è poco calorica, contiene ferro, zinco e vitamina B12, rappresenta un pasto pratico e veloce da preparare. Un alimento che dovrebbe essere presente, nella giusta dose, in ogni dieta  dieta mediterranea.

Cocis

 

 

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