Cannes, la lezione di cinema de ‘La loi du marché’

 Il mondo del lavoro sullo schermo è una rischiosa sfida. Soprattutto nel cinema europeo che non dispone né degli elementi di spettacolarizzazione di quello americano né dell’effetto documentaristico offerto dai film del terzo mondo. I fratelli Dardenne,  due volte Palma d’oro a Cannes,  sono uno dei rari esempi di riuscita. Il protagonista del film in Concorso La loi du marché (La legge del mercato) ha cinquant’anni e un figlio down, è disoccupato da due, subisce le angherie di una banca pressante, e ha una morale propria che è più di peso che di conforto. Ci sono tutti gli elementi di una pellicola miserabilista, ricattatoria e manipolatrice, sguarnita di quel rigore cinematografico, per lo più incompatibile con questo tipo di soggetti. Sarà la forza di un regista sottovalutato come Stephan Brizé,  sei film, mai usciti in Italia,  capace di incrociare la forza tranquilla della tradizione con un linguaggio moderno, fatto di camera fissa e con l’energia di un attore come Vincent Lindon che nei momenti di forma ricorda la versione operaia di Jean Gabin. Il risultato non è solo un bel film ma  anche un colpo al cuore.  La loi du marché non è probabilmente una lezione di vita ma sicuramente una lezione di cinema.

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