‘Blink’, l’amore è qualunque cosa senti che sia di Phil Porter, in scena a Genova il 19 gennaio, al Teatro Garage, con regia di Mauro Parrinello

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Roberto Staglianò il seguente articolo:
‘Blink’,  dall’11 al 13 dicembre 2017, già in scena  a Roma, TREND – nuove frontiere della scena britannica – XVI edizione, rassegna a cura di Rodolfo di Giammarco al Teatro Belli, Roma. Giovedì 14 e Venerdì 15 dicembre 2017 ore 21:00 Teatro Bell’ARTE (via Bellardi 116) Torino.  Venerdì 19 gennaio 2018, Teatro Garage, Genova.
Con Celeste Gugliandolo e Matteo Sintucci, traduzione Francesca Montanino, regia Mauro Parrinello, scene e costumi Maria Mineo, musiche originali Matteo Sintucci. Produzione: Compagnia Dei Demoni e OffRome.
Lo skyline di Londra è diventato l’elemento principale della scenografia di ‘Blink’, l’amore è qualunque cosa senti che sia, nella versione italiana. Autore del testo teatrale è Phil Porter, drammaturgo britannico pluripremiato, la cui commedia è una coproduzione tra Soho Theatre e la compagnia teatrale Nabokov.
Il lavoro di Porter è stato prodotto anche presso il Manchester Royal  Exchange, il Northampton Theatre Royal, l’Unicorn Theatre e The Royal Opera House.
La rassegna che ospita ‘Blink, Trend’ – curata da Rodolfo di Giammarco, è una finestra sulla drammaturgia britannica contemporanea. Manca poco alla sua conclusione, l’ultimo spettacolo in cartellone è Mother Adam di Charles Dyer, dal 16 al 17 dicembre. In questo contesto di respiro anglosassone, in una città come Roma che riesce ad offrire momenti di lucida visione anche nel suo torpore, ‘Blink’ è anch’essa una ‘finestra’. Si affaccia su uno spazio universalmente noto, chiamato
amore. Ed è strana la coincidenza: nella versione inglese, la scenografia è composta da una enorme finestra-balcone sul giardino della casa di Sophie, la protagonista femminile. Lei che a dodici anni chiede al padre, dopo una serie di estrazioni dentarie complicate, una piccola ricompensa: poter mettere il letto accanto a quel giardino, per provare la sensazione fisica di distendersi verso l’esterno. Una richiesta che rappresentava qualcosa di più, un’idea precisa.
Quando Sophie (Celeste Gugliandolo) era bambina, suo padre la faceva sentire importante. Crescendo e dopo la morte del padre, il dolore la fa sentire come se stesse scomparendo. Sophie ha un desiderio intenso e ossessivo di contrastare la sua paura di essere invisibile agli altri. In effetti, quando si guarda allo specchio, sembra svanire nel nulla. Porter usa questo per rappresentare molti tratti del suo personaggio: la sua incapacità di consolidare la sua identità, di toccare gli altri e di connettersi con loro in modo significativo; la sua incapacità di fare la differenza e di essere riconosciuta nel mondo più grande. Lei deve essere osservata per essere reale. Il suo ufficio la licenzia per ‘mancanza di visibilità’. Ha lasciato l’appartamento al piano di sotto a Jonah (Matteo Sintucci) il quale è sfuggito alla sua vecchia vita per vedere il mondo – da Leeds fino a Londra. Jonah racconta di essere cresciuto in una fattoria nel centro dell’Inghilterra che era una comunità religiosa presbiteriana e il padre ne era la massima autorità. Sua madre muore quando aveva 15 anni lasciandogli una lettera che lo incoraggia a fuggire e i mezzi per farlo.
Con le parole di apertura che dichiarano: ‘Questa è una storia vera’, l’intelligente storia d’amore non è ciò che sembra fino a diventare oscura e interessante.
La regia della versione italiana è curata da Mauro Parrinello, un talento genuino e fresco, piemontese di Ciriè, formatosi nella Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova.
Parrinello è regista, ma anche attore e fa parte della ‘Compagnia Dei Demoni’, un gruppo di quattro attori diplomati nella stessa Scuola genovese.Insieme hanno prodotto dieci spettacoli in diverse città d’Italia. Se questa è una storia vera, lo è
perché tratta di voyeurismo e di paura dell’intimità, del guardare il mondo piuttosto che prenderne parte, di come è possibile sapere così tanto e, contemporaneamente, così poco su una persona. Di come a volte è più facile avere una relazione con qualcuno tramite una webcam piuttosto che nella vita reale. Tutto questo è realizzato mediante una regia pulita, giusta nelle misure e fedele al testo. Determina i solchi di un percorso, di una struttura e della rappresentazione di una storia interpretata e diretta in modo lineare, emozionante e complice in umanità.
Blink è un gioco delle parti divertente, doloroso, coinvolgente. I suoi due protagonisti, giovani disadattati sociali, si rivolgono raramente l’un l’altro. In monologhi diretti al pubblico, Sophie e Jonah ci raccontano ciascuno di loro e discutono su come si sono incontrati, si sono innamorati e hanno condotto la loro relazione.
Si trovano e si innamorano attraverso l’occhio dell’obiettivo della telecamera e dello schermo, in una serie eccentrica di eventi: surreali, fantastici ma in qualche modo logici. Jonah è a suo agio con il suo voyeurismo segreto e Sophie è a suo agio con il comunicare visivamente senza dover riconoscere il suo voyeur. Nessuno dei due considera ciò che sta facendo strano o sconveniente. Il risultato è tutt’altro che tradizionale: Porter sviluppa un epilogo paradossalmente aperto e chiuso Servono tutti i tipi di persone per creare il nostro universo. Se nessuno viene danneggiato, allora va bene, ma attenzione: percepire qualcuno come potenzialmente non innocuo non significa necessariamente assenza di rischio all’interno di una relazione o un rapporto. Inizia così una lenta intensificazione verso l’interazione dal vivo tra l’oggettivo e il soggettivo.
L’incontro fisico, reale, il faccia a faccia tra i due evolve quando Sophie è vittima di un incidente. Inseguendo un dettaglio,
un cappotto verde, lo stesso che indossava il padre morto, viene travolta e sollevata da un autobus. Questa scena viene realizzata, interpretata e diretta in modo suggestivo, commovente: la svestizione di un soprabito color nocciola che vola verso l’alto e finisce sulla strada come un corpo simbolico e inerme  E’ il punto più alto del legame emotivo tra scena e pubblico. Jonah salva Sophie e la riporta in salute dal suo stato comatoso. Mentre Sophie migliora sotto la cura quotidiana di Jonah, la loro relazione si trasforma in un tipo di amore con il quale siamo in grado di identificarci: si diplomano dall’isolamento interiore e diventano una coppia ‘normale’. Questa coppia sarà in grado di superare i loro comportamenti passati, i desideri, adattandosi alle convenzioni dell’amore? Dovrebbero?
A conclusione del gioco, vengono infrante le ipotesi stereotipate sulle relazioni. L’amore tra due individui è qualcosa di unico; non è solo incomprensibile, ma non può essere giudicato logicamente. Una ragione per cui le relazioni d’amore spesso non funzionano è che le abitudini le tradizioni sono in realtà artificiali quando viviamo le nostre vite secondo rigide restrizioni  L’amore in tutta la sua unicità non dovrebbe essere allineato con le aspettative di una ‘unione perfetta’. Questo forse sarà inquietante per coloro che hanno paura di non vivere secondo le convenzioni, le idealizzazioni che hanno poco a che fare con una relazione quotidiana fatta di attenzione e preoccupazione, di malumore, problemi, negligenze e conflittualità. E tutto ciò è profondamente ironico, umanamente autentico.
Roberto Staglianò

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