Ambiente a rischio: chi inquina paghi

Deserti che avanzano, anidride carbonica che soffoca il pianeta, numerose specie umane e vegetali che si estinguono e gli uomini che diventano tanti. A cadenze ravvicinate gli scienziati lanciano il loro allarme, si organizzano tavole rotonde o grandi simposi internazionali, ma poi ogni Paese prosegue sulla propria strada e noi stessi siamo incuranti del mondo che consegneremo ai nostri posteri. Le grandi multinazionali continuano a distruggere la Foresta Amazzonica, uno degli ultimi polmoni verdi del mondo, molte industrie proseguono a riversare in mare o nei fiumi i residui delle loro lavorazioni e tanti di noi continuano a rendere l’aria irrespirabile con i gas delle auto o a lasciare in giro rifiuti pericolosissimi. Una società consumistica, che non si rende conto che inoltre la produzione smodata è il più grande alleato dell’inquinamento.
La Cina ad esempio, che oggi rappresenta il più grande produttore al mondo, sembra indifferente al problema ambientale, ma prima ancora della Cina, sono quegli stessi Paesi che invocano un maggior rispetto ambientale ad essere la prima causa dell’inquinamento, infatti non è certo commissionando a terzi la produzione, per vantaggi economici, che ci si può liberare di una colpa. La Cina senza committenti non venderebbe e non produrrebbe quanto produce e se fosse costretta dalla legge economica a rispettare regole ambientali lo farebbe. Ma per rendersi conto dell’emergenza ambientale non occorre andare lontano, specie se si abita in una grande città, basta aprire la finestra di casa, dell’ufficio o della scuola per realizzare come l’aria, in particolare nelle ore di punta sia irrespirabile. I dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) indicano un aumento delle malattie respiratorie e di alcune forme di cancro, quali quelle delle pelle e degli organi maggiormente legati alla qualità del cibo che mangiamo ed all’aria che respiriamo. Il problema ha una portata mondiale e non nasce per caso, ma in seguito all’utilizzo irrazionale che soprattutto negli ultimi secoli l’uomo sta facendo delle risorse naturali a propria disposizione. Basti pensare che mille anni fa la Terra era coperta per oltre il cinquanta per cento da foreste mentre oggi tale percentuale è scesa a meno del venti per cento, e ancora che ogni giorno scompaiono centinaia di specie  animali o di uccelli. Da qui la necessità di un accordo che coinvolga Paesi ricchi, Paesi in via di sviluppo e Paesi poveri della Terra, per individuare dei confini dove la ricerca e lo sfruttamento a fini produttivi delle risorse naturali debbano fermarsi per non mettere in pericolo la vita delle generazioni future. Si tratta quindi di quello che viene definito “sviluppo sostenibile”, che oggigiorno sembra stia aprendosi un varco ma i cui limiti non sono così facili da concordare. Si tratta di fronte ad ogni scelta economica e produttiva di valutare con il giusto peso nel rapporto costi-benefici, le conseguenze che quella scelta potrà comportare per l’equilibrio ambientale. Ma alla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 a cui presero parte i capi di Stato provenienti da tutto il mondo per giurare solennemente dinanzi alle telecamere di tutto il mondo il proprio impegno per uno sviluppo futuro più rispettoso dell’ambiente, quando si è cercato di passare ai fatti concreti i Paesi più ricchi, Stati Uniti in testa, si sono tirati indietro. Cosa bisognerebbe fare quindi? Per rispettare l’ambiente in cui viviamo sarebbe necessario prima di tutto realizzare che ciò che l’umanità attuale possiede è solo in prestito, è il rispetto il primo elemento importante per il benessere sociale e dello stesso ambiente e una delle misure più importanti da attuare in un contesto che stenta ad avere un controllo è quello di “esigere che chi inquina paghi”.

Maria Gravano

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