I ricercatori dell’Università di Cambridge hanno trovato per la prima volta negli esseri umani la conferma di un fenomeno già osservato sugli animali: la proteina Tau, che ha un ruolo chiave nello sviluppo della malattia, si diffonde nel cervello passando da un neurone all’altro come se si trattasse di un’infezione virale. La scoperta è una conferma della cosiddetta ‘ipotesi transneuronale’ osservata finora però solamente nei topi.
Insieme alla beta-amiloide, la proteina Tau è sotto stretta osservazione da molto tempo. Le numerose indagini condotte finora non sono ancora riuscite a capire quale delle due proteine sia la più pericolosa e la migliore candidata a fare da bersaglio terapeutico. Beta amiloide e proteina Tau agiscono in maniera diversa: la prima è responsabile della formazione di placche al di fuori delle cellule cerebrali, la seconda forma grovigli di filamenti all’interno dei neuroni minacciandone l’integrità e la funzionalità.
Il sintomo precoce più frequente è la difficoltà nel ricordare eventi recenti. Con l’avanzare dell’età possiamo avere sintomi come: afasia, disorientamento, cambiamenti repentini di umore, depressione, , incapacità di prendersi cura di sé, problemi nel comportamento. Ciò porta il soggetto inevitabilmente a isolarsi nei confronti della società e della famiglia. A poco a poco, le capacità mentali basilari vengono perse. Anche se la velocità di progressione può variare, l’aspettativa media di vita dopo la diagnosi è dai tre ai nove anni.
La patologia è stata descritta per la prima volta nel 1906, dallo psichiatra e neuropatologotedesco Alois Alzheimer e si stima che ne sarà affetta 1 persona su 85 a livello mondiale entro il 2050.
Nei pazienti che hanno partecipato allo studio l’Alzheimer si presentava con livelli di gravità diversi. Gli scienziati hanno dimostrato che quando l’accumulo di Tau era maggiore tutte le regioni del cervello erano nel complesso meno connesse tra loro, le connessioni erano più deboli e sempre più casuali.