Alzheimer e proteina Tau

I ricercatori dell’Università di Cambridge hanno trovato per la prima volta negli esseri umani la conferma di un fenomeno già osservato sugli animali: la proteina Tau, che ha un ruolo chiave nello sviluppo della malattia, si diffonde nel cervello passando da un neurone all’altro come se si trattasse di un’infezione virale. La scoperta è una conferma della cosiddetta ‘ipotesi transneuronale’ osservata finora però solamente nei topi.

Insieme alla beta-amiloide, la proteina Tau è sotto stretta osservazione da molto tempo. Le numerose indagini condotte finora non sono ancora riuscite a capire quale delle due proteine sia la più pericolosa e la migliore candidata a fare da bersaglio terapeutico. Beta amiloide e proteina Tau agiscono in maniera diversa: la prima è responsabile della formazione di placche al di fuori delle cellule cerebrali, la seconda forma grovigli di filamenti all’interno dei neuroni minacciandone l’integrità e la funzionalità.

La proteina Tau stabilizza i microtubuli e se mutata (iperfosforilata) provoca gravi malattie neurodegenerative dette taupatie, come la malattia di Alzheimer.
La malattia di Alzheimer-Perusini, detta anche morbo di Alzheimer, demenza presenile di tipo Alzheimer, demenza degenerativa primaria di tipo Alzheimer o semplicemente Alzheimer, è la forma più comune di demenza  degenerativa progressivamente invalidante con esordio prevalentemente in età presenile,  oltre i 65 anni, ma può manifestarsi anche in epoca precedente.

Il sintomo precoce più frequente è la difficoltà nel ricordare eventi recenti. Con l’avanzare dell’età possiamo avere sintomi come: afasia, disorientamento,  cambiamenti repentini di umore, depressione,  , incapacità di prendersi cura di sé, problemi nel comportamento.  Ciò porta il soggetto inevitabilmente a isolarsi nei confronti della società e della famiglia. A poco a poco, le capacità mentali basilari vengono perse. Anche se la velocità di progressione può variare, l’aspettativa media di vita  dopo la diagnosi  è dai tre ai nove anni.

La patologia è stata descritta per la prima volta nel 1906, dallo psichiatra e neuropatologotedesco Alois Alzheimer   e si stima che ne sarà affetta 1 persona su 85 a livello mondiale entro il 2050. 

Gli scienziati inglesi hanno osservato gli effetti della proteina Tau sul cervello di 17 persone malate di Alzheimer combinando due tecniche di imaging, la risonanza magnetica funzionale e la tomografia a emissione di protoni. Dalle immagini è emerso che le più elevate concentrazioni della dannosa proteina Tau si trovano nelle aree del cervello maggiormente connesse tra loro. Il che suggerisce che la proteina si diffonde nel cervello nello stesso modo con cui un’influenza contagia la popolazione: il rischio di venire colpiti dal virus è maggiore quando le persone sono in stretto contatto tra loro.

Nei pazienti che hanno partecipato allo studio l’Alzheimer si presentava con livelli di gravità diversi. Gli scienziati hanno dimostrato che quando l’accumulo di Tau era maggiore tutte le regioni del cervello erano nel complesso meno connesse tra loro, le connessioni erano più deboli e sempre più casuali.

I ricercatori sono consapevoli dei due principali limiti del loro studio: un campione di pazienti poco numeroso e un periodo di osservazione troppo breve. Per questo Cope e i colleghi stanno proseguendo le indagini con un numero maggiore di pazienti che verranno seguiti più a lungo. Gli scienziati sono convinti infatti che la scoperta del processo di diffusione della proteina tau possa avere implicazioni in campo terapeutico e portare allo sviluppo di farmaci che possano impedire l’ epidemia di tau nel cervello.
Naomi Sally Santangelo

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