Alla corte di Turandot, un viaggio onirico nella Cina imperiale

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Loredana Margheriti il seguente articolo:

 

 

 

In concomitanza del Capodanno cinese e dopo il debutto nel dicembre 2018 a Pechino, il Teatro Argentina di Roma propone Turandot, con la drammaturgia di Wu Jiang e Wu Yuejia, la regia e le scene di Marco Plini e le musiche originali di Luigi Ceccarelli, Alessandro Cipriani e Qiu Xiaobo; spettacolo prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro Metastasio di Prato e China National Peking Opera Company.

 

La favola della fanciulla di Turan è interpretata dagli attori della Compagnia Nazionale dell’Opera di Pechino. Xu Mengke è Calaf il principe senza nome che solo alla fine si svelerà, Zhang Jiachun è Turandot principessa crudele e sanguinaria che riuscirà a conoscere il vero amore, Wu Tong l’ancella guerriera Liù che si sacrifica per proteggere il principe, divertenti e dinamici con tratti da acrobati Wang Chao, Nan Zikang e Wei Pengyu rispettivamente Ping, Pong e Pang.

 

Lo spettatore si siede in uno dei teatri storici del centro di Roma e appena si spengono le luci in sala si ritrova proiettato in una Cina sontuosa, al palazzo imperiale di una corte retta dalla spietata principessa Turandot che propone enigmi a degli incoscenti pretendenti rapiti dalla sua bellezza. Pena per la mancata risoluzione è la pubblica decapitazione, per questo la prima scena vede l’esposizione di tre teste mozzate alle colonne del palazzo.

 

Ci si trova immersi nell’atmosfera dell’antico e tradizionale teatro cinese, con tutta la sua mimica, la sua danza e la sua espressività. Ricercatissimi e di pregiata fattura i costumi di Jiang Dian e le acconciature e il trucco di Zheng Weiling. Alcune scene con serie di movimenti iconografici svelano una tradizione così lontana dal mondo occidentale eppure così coinvolgente, la sensualità dei ventagli di Turandot, l’inquietudine della tortura di Liù o le ironie acrobatiche di Ping, Pong e Pang.

 

Il regista Marco Plini dice di aver approcciato questa favola, nel rispetto di un teatro secolare che porta sul palcoscenico un’antropologia viva, con la soggezione del novizio invitato a partecipare a un rito antico e misterioso. Turandot nasce da questo rispetto, da questa curiosità e da questo mistero.

 

Lo spettacolo dura circa un’ora e mezza in cui si compie un viaggio nel tempo e nello spazio, rimanendo rapiti dai colori e dagli scintillii, dai suoni così caratterizzanti e dalle voci di tutti gli attori che cantano secondo tradizione. Il pubblico segue lo svolgimento della vicenda in grande silenzio, complice l’attenzione per i sopratitoli da leggere poiché lo spettacolo è in lingua cinese.

 

Fino al 10 febbraio al Teatro Argentina di Roma.

Loredana Margheriti

 

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