Al Brancaccino di Roma, in scena ‘Passi una confessione’, di e con Tamara Bartolini, fino al 3 dicembre

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Roberto Staglianò e Barbara Lalle, il seguente articolo riguardante ‘Passi una confessione’ in scena al Brancaccino di Roma fino al 3 dicembre.

‘Passi’ è anche una confessione, ma non solo. Lo spettacolo di e con Tamara Bartolini, vincitore del premio Dominio Pubblico Officine 2014 è andato in scena al teatro Brancaccino di Roma dal 30 novembre al 3 dicembre. Michele Baronio è il secondo elemento, compagno e presenza in palcoscenico. E’ lui che si occupa di scenografie, luci e suoni live dividendo anche il lavoro della regia.

Un racconto personale, in parte autobiografico, che ha un respiro universale nella sua drammaturgia, ma è anche la mappa di un’esplorazione.  Proprio come è ben definito dalle parole di T.S Eliot: ‘Noi non cesseremo l’esplorazione e la fine di tutto il nostro esplorare sarà giungere là onde partimmo e conoscere il luogo per la prima volta’.

L’ingresso in sala coincide con il momento di prendere posto e la scena allestita è aperta ed essenziale: c’è una donna appesa ad un gancio, poco più avanti un altro. E’ la figura che domina uno spazio rettangolare nero, intimo come una camera, un luogo dell’anima parzialmente illuminato dai punti luce di qualche riflettore puntato su quel corpo femminile, fermo e immobile in sospensione. Indossa un abito lungo nero e, a pochi passi davanti a lei ci sono le sue scarpe rosse con i tacchi. Nell’angolo a sinistra c’è una postazione di regia, pronti per iniziare, si inizia  Lo spettacolo inizia con una domanda che la protagonista rivolge ad un interlocutore immaginario, ma in realtà è per tutti noi spettatori del pubblico. ‘Ti piace? Va bene così?’ è il filo che viene lanciato per intrecciare e comporre una sorta di rete, di tela dove ognuno rappresenta o vede rappresentato un pezzo di se stesso. Quelle sono domande per ciascuno di noi: come si deve fare? Come si deve stare al mondo? Come si deve restare in piedi e camminare?

I componenti sono determinanti, pochi elementi simbolici e atomi di parole: inizia così quel percorso alla ricerca delle proprie origini, della propria identità. Si alternano tristezza, agitazione, risate, quiete turbolenta e caos calmo. Frammenti di vita passata si mescolano con le paure, le speranze e le costrizioni che ognuno di noi ha toccato e vissuto. Da un ricordo si passa all’altro, il ritmo è veloce, in pochi secondi si passa dall’infanzia alla giovinezza, dai piedi di scimmia, agli scogli del mare con le scarpe di plastica, le scarpe ortopediche, le scarpe emorragiche, l’amico morto e fermo in una bara.

Quella piccola bambina ‘tutta suo padre’ cresce, pezzo dopo pezzo, muove i suoi passi nel mondo sentendosi dire che è un po’ storta, fino a diventare donna. Il ritmo è serrato, vivace, dinamico. Lascia l’ascoltatore-spettatore in attesa del momento successivo. Le parole diventano visibili come le sagome nere di immagini proiettate sulla lavagna luminosa sullo sfondo: piume, piccole sfere, strani insetti, una matassa aggrovigliata che alla fine si scioglie e l’ultimo pezzo di filo se ne va lasciando lo sguardo puntato in alto a destra, quello che è lo spazio più simbolico della pittura e della fotografia.

Tutto questo processo è una fase di liberazione, il cammino di una bambina che diventa adolescente prima e donna dopo. Vive e si libera anche delle sue frustrazioni, la vediamo dondolarsi in modo acrobatico, correre per poi fermarsi fino ad abbandonarsi a una contemplazione più serena, quasi mistica. E ciò è evidente nella scena finale: la protagonista si distacca da suo vestito nero e su quel gancio dove all’inizio era appesa lei, adesso rimane il suo abito nero e le scarpe rosse Il messaggio finale è ben veicolato dalle parole della canzone ‘Rosso di sera’ di Ilaria Graziano:  ‘Rosso che manca di sera, vorrei che duri più a lungo questa chimera, me basta andare senza arrivare mai, senza una casa da chiudere a chiave e quando ti passerò accanto saremo separati dalla terra e dal vento’.

Foto di Manuela Giusto

Roberto Staglianò e Barbara Lalle.

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