Afghanistan, ‘no a quote di rifugiati in Europa’

Insostenibile la situazione in Afghanistan. Com’è stato prima, e come sarà dopo. Migliaia di persone continuano a rimanere accalcate intorno all’aeroporto di Kabul nella speranza di riuscire a imbarcarsi su uno dei voli che stanno portando fuori dal Paese cittadini stranieri, afghani vulnerabili ed ex collaboratori delle missioni internazionali.

I talebani stanno impedendo in tutti i modi agli afghani di raggiungere l’aeroporto. Il portavoce del gruppo fondamentalista fondato dal mullah Omar, Zabihullah Mujahid, durante la seconda conferenza stampa dalla resa della capitale afghana ai talebani, ha detto che l’accesso allo scalo è consentito solo ai cittadini stranieri e non agli afghani.

«Non credo sia molto saggio parlare di numeri, perché i numeri ovviamente innescano un effetto calamita e non lo vogliamo». Lo ha detto il ministro degli Interni tedesco, Horst Seehofer, prima di entrare alla riunione straordinaria con i suoi omologhi europei parlando della possibilità di stabilire delle quote nell’Unione europea per accogliere i rifugiati afgani, Il governo federale tedesco ha sempre concordato programmi di insediamento per «persone particolarmente maltrattate» e «siamo pronti anche per questo», ha precisato, esortando l’Ue ad agire «bene e rapidamente» per evitare che si apra una crisi come quella del 2015.

La Germania vuole aiutare oltre 40.000 persone a lasciare l’ Afghanistan attraverso l’aeroporto di Kabul o via terra attraverso i paesi vicini: lo ha detto il ministero degli Esteri Heiko Maas  da Islamabad secondo quanto riporta Deutsche Welle. Maas spera che l’aeroporto sia di nuovo operativo «entro un periodo di tempo calcolabile» e che i voli charter possano decollare da lì. I talebani hanno promesso di garantire l‹uscita di chi vorrà dal Paese ma «se ci si potrà fidare di questo lo vedremo nei prossimi giorni e settimane», ha detto il numero uno della diplomazia tedesca. Di recente l‹ambasciatore pachistano in Germania, Mohammad Faisal, aveva chiarito che il suo paese ha già preso abbastanza rifugiati dall’ Afghanistan, tra i 3 e i 4 milioni, come aveva detto al Tagesspiegel.

A Kabul, i talebani continuano a picchiare e sparare, a torturare le donne. I bambini sono traumatizzati, soli, hanno perso tutto  La sharia è legge,  di nuovo.

Tutti gli italiani presenti nel Paese che hanno chiesto di lasciarlo sono stati evacuati. “Ci sono ancora 32 italiani che non vogliono tornare”, ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. In più sono stati portati in Italia circa 2.700 afghani, principalmente collaboratori delle istituzioni italiane, a partire dal nostro contingente militare, e loro familiari.

Nel corso del G7 sulla crisi in Afghanistan, il premier Mario Draghi ha spiegato che l’obiettivo è riuscire a concludere in sicurezza le operazioni di evacuazione a Kabul entro fine agosto, sottolineando la necessità di “mantenere un canale di contatto anche dopo la scadenza del 31 agosto, la possibilità di transitare dall’Afghanistan in modo sicuro e che le organizzazioni internazionali abbiano accesso all’Afghanistan anche dopo questa scadenza”.

Nel frattempo, 200mila euro sono stati donati da diverse artiste italiane, tra cui Fiorella Mannoia, Emma, Giorgia, Elisa, Gianna Nannini, Alessandra Amoroso e Laura Pausini, assieme a Una Nessuna Centomila, per le donne e bambine afghane, con il tramite di Pangea Onlus, presente da anni nel Paese a fianco di donne e bambini.

Ma parlando di costi, è possibile quantificare il costo complessivo della missione militare italiana in Afghanistan. Come riporta Milex, l’Osservatorio sulle spese militari italiane promosso con la collaborazione del Movimento Nonviolento nell’ambito delle attività della Rete Italiana Pace e Disarmo, anche per il 2021 si nota un esborso finanziario in linea con quello degli anni immediatamente precedenti.

Nonostante le operazioni di ritiro dal Paese concordate a livello internazionale, che dovranno essere completate entro l’autunno, quest’anno sono stati necessari circa 200 effettivi in più rispetto al 2020, per un totale di 1000 soldati.

Ma quanto è costata, esattamente, la presenza italiana in Afghanistan? I 20 anni complessivi di presenza italiana nel Paese dei tulipani sono costati ben 8,7 miliardi di euro.

Di questi, ben 840 milioni sono stati contributi diretti alle forze armate afghane. Le stesse che nelle settimane immediatamente susseguenti al ritiro dei contingenti internazionali hanno subito pesanti  sconfitte negli scontri con i talebani.

Per gli Stati Uniti, invece, il costo totale, ad oggi, della guerra in Afghanistan è di oltre 2,261 miliardi di dollari. La cifra comprende anche le operazioni in Pakistan e alcuni costi di ricostruzione, ma non eventuali (e probabili) obblighi futuri verso l’assistenza a vita per i veterani americani o futuri pagamenti di interessi sul denaro preso in prestito per finanziare la guerra.

Un rapporto del 2021 di SIGAR, che citava il Dipartimento della Difesa, affermava che gli Stati Uniti avevano speso circa 837 miliardi di dollari solo per la guerra.

E’ invece di 145 miliardi la spesa Usa per l’attuazione dei programmi di ricostruzione in Afghanistan dal 2002. I fondi sono stati utilizzati per una serie di progetti, tra cui la costruzione delle forze di sicurezza nazionali afgane, la promozione di pratiche di “buon governo” e l’impegno in attività antidroga.

Gli Usa hanno addestrato e equipaggiato 300mila soldati afghani, “una forza di dimensioni maggiori rispetto alle forze armate di molti dei nostri alleati della NATO”, ha detto Biden in un discorso alla nazione il 16 agosto 2021.

Una guerra che ha movimentato miliardi, come abbiamo visto, e che non ha portato a nessun effettivo cambiamento. Sono ancora una volta i numeri a certificare il più grande fallimento dell’Occidente degli ultimi anni.

Come sottolinea ancora Milex, negli ultimi 5 anni il 40% di tutte le vittime civili in Afghanistan, causate da attacchi aerei, sono stati bambini. La maggior parte di queste vittime, il 57%, sono state causate dalle forze internazionali guidate dagli Stati Uniti.

Secondo Action on Armed Violence (Aoav) nel 2018-2019 l’esercito americano ha sganciato più munizioni sull’Afghanistan che all’apice dei bombardamenti nel 2011: più di 20 al giorno.

Complessivamente, il Costs of War Project ha stimato in 241mila le persone morte a causa della guerra in Afghanistan. Tra di loro, oltre 2.400 membri delle forze armate Usa e almeno 71mila civili, otre a 78.000 militari e poliziotti afghani e 84mila combattenti dei gruppi insorgenti.

Secondo l’UNICEF, 3 milioni e 700mila sono invece il numero di bambini in Afghanistan che non vanno a scuola, il 60% dei quali sono ragazze.

Numeri che, naturalmente, tralasciano le morti causate da malattie, denutrizione, blocco di accesso all’acqua e alle infrastrutture e da tutte le altre conseguenze indirette della guerra stessa.

In definitiva, chi l’ha vinta allora la guerra in Afghanistan? Si può agevolmente affermare che l’unica vera vincitrice è stata, come spesso accade, l’industria militare. E come hanno scritto diversi analisti, a un livello storico più profondo, il ritorno al potere dei talebani, oggi, rappresenta la fine del dominio occidentale sugli affari mondiali.

“La guerra è un racket. Lo è sempre stato. È forse il più antico, facilmente il più redditizio, sicuramente il più vizioso… È l’unico in cui i profitti sono calcolati in dollari e le perdite in vite umane” scrisse nel 1935 il generale Smedley Butler, quasi un secolo prima dell’inizio della guerra globale al terrorismo, decenni prima che la nozione di “complesso militare-industriale” diventasse un illuminante faro per Eisenhower.

Come ha spiegato la docente di Politica pubblica di Harvard Linda Bilmes, “l’intero sistema è stato impostato in modo da consentire agli appaltatori di derubare il governo”. E Christine Fair di Foreign Policy ha descritto la “sconcertante corruzione delle aziende e degli individui statunitensi che lavorano in Afghanistan”, in cui gli afgani sono stati, in molti casi, defraudati.

Mentre i combustibili fossili ancora sepolti sottoterra rappresentano profitti futuri assai invitanti per le compagnie petrolchimiche, la guerra in Afghanistan ha rappresentato guadagni certi per l’industria delle armi.

Come ha osservato Catherine Lutz di Pacific Standard nel 2017, “per molte aziende che per anni hanno incassato assegni giganteschi dal budget di guerra di trilioni di dollari del Pentagono, c’è ancora un numero straordinario di dollari da guadagnare”.

Nello stesso anno, c’è stato un “aumento dell’1,1% della spesa militare globale”, guidato in parte da un “aumento di 9,6 miliardi di dollari nella spesa per gli armamenti degli Stati Uniti”.

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