Adozioni gay e pediatri

Le adozione gay fanno male alla crescita dei bambini e viene dalla scienza la conferma di un dato di buon senso comune: ‘Non si può escludere che convivere con due genitori dello stesso sesso non abbia ricadute negative sui processi di sviluppo psichico e relazionale nell’età evolutiva’. Lo afferma, a proposito delle adozioni gay,  il presidente della Società Italiana di Pediatria, Giovanni Corsello:  ‘La  Stepchild adoption rischia di essere disastrosa sulla vita dei soggetti più meritevoli di tutele.  Il dibattito sul ddl sulle unioni civili, approdato  in Senato si è mantenuto su una sfera prevalentemente politica ed ideologica, mentre riteniamo che la discussione dovrebbe comprendere anche i profili clinici e psicologici del bambino. Come pediatri riteniamo invece che la discussione dovrebbe comprendere anche i profili clinici e psicologici del bambino e dell’adolescente. Sono considerazioni di grande saggezza ed equilibrio. Ma gli ideologi del gender e delle adozioni gay sembrano intenzionati ad andare dritti per la loro strada. La maturazione psicologica di un bambino  si svolge lungo un percorso correlato con la qualità dei legami affettivi all’interno della famiglia e con i coetanei. La qualità delle relazioni umane e interpersonali, nonché il livello di stabilità emotiva e la sicurezza sociale di un bambino sono conseguenze di una maturazione psicoaffettiva armonica. Studi e ricerche cliniche  hanno messo in evidenza che questi processi possono rivelarsi incerti e indeboliti da una convivenza all’interno di una famiglia conflittuale, ma anche da una famiglia in cui il nucleo genitoriale non ha il padre e la madre come modelli di riferimento. Quando si fanno scelte su temi di così grande rilievo sociale, che incidono sui diritti dei bambini a crescere in sistemi protetti e sicuri, non possono essere considerati solo i diritti della coppia o dei partner, ma va valutato l’interesse superiore del bambino’. C’è poi un’altra aberrazione nel ddl Cirinnà di cui si parla poco, ma che rischierebbe, se diventasse legge,  di violare pesantemente i diritti individuali e la libertà delle persone. Lo potremmo definire, senza esagerazione, il ‘matrimonio a propria insaputa’ e ‘obbligatorio’. Ovvero, ci riferiamo in particolare alla parte della legge che stabilisce l’obbligo del mantenimento anche nel caso di cessazione di una convivenza di fatto. L’onere  a carico dell’ex convivente economicamente più forte è analogo a quello dell’ex coniuge. È bene precisare che non parliamo di una ‘unione civile’, perché i due conviventi non si sono recati davanti all’ufficiale di stato civile, insieme con due testimoni, a registrare il loro legame. Le due persone, che possono essere  sia etero sia omo, convivono e basta. Il caso più frequente è quello di una ragazzo e una ragazza che decidono di vivere insieme per un certo periodo prima di intraprendere passi più impegnativi. Succede spesso tra i giovani. E da parecchi anni. Attenzione perché, se alla fine la coppia ‘scoppia’ e si scioglie , a uno dei due potrebbero capitare guai che non avevano né previsto né voluto. Si è parlato, come scritto in precedenza, poco o niente del capo secondo del ddl  Cirinnà che disciplina, invece, le convivenze di fatto. Accanto a profili giuridici che non destano problemi, come ad esempio il diritto alla reciproca assistenza sanitaria, vi sono due disposizioni che invece i problemi li creano, eccome. Uno riguarda la destinazione della casa comune in caso di morte del proprietario. Il ddl Cirinnà prevede che in tale caso il convivente di fatto superstite abbia diritto di continuare ad abitare nella stessa casa per un periodo pari alla convivenza per un minimo di due anni e un massimo di cinque (art. 13, c. 1-2). Il che significa che, senza che il proprietario abbia mai previsto alcunché, gli eredi legittimi si troverebbero danneggiati da una situazione ‘di fatto’ come la convivenza. La cosa particolare di questa previsione è che essa è valida ‘ex lege’ e cioè a prescindere dal consenso, prestato in vita, del proprietario defunto. L’altra disposizione riguarda appunto l’ ‘Obbligo di mantenimento o alimentare’, visto che il ddl Cirinnà  stabilisce, in caso di cessazione della convivenza di fatto, il diritto del convivente a ricevere dall’altro quanto necessario per il suo mantenimento oltre agli alimenti per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza. In altre parole i fidanzati conviventi che decidono di lasciarsi si trovano vincolati a obbligazioni di natura patrimoniale simili a quelli derivanti dal matrimonio, con la sola differenza della, non ben precisata in termini quantitativi, temporaneità. Anche in questo caso, non c’è modo di sfuggire da questa previsione. Insomma, il ddl Cirinnà non si limita ad attribuire  ‘diritti’ privi di fondamento logico, ma stabilisce anche obblighi contrari al buon senso comune.

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