Accordo tra Russia e Ucraina sul grano: cosa cambia per l’Italia e il mondo

Tra i tanti risvolti nefasti che la guerra in Ucraina ha provocato in tutto il mondo, quello della crisi alimentare è uno dei più urgenti e allarmanti. Il blocco dell’export di grano e cereali dai porti del Paese invaso, uno dei maggiori produttori del pianeta, ha già fatto sentire i suoi effetti su molte nazioni. Sulla questione del grano, però, arriva un segnale positivo: la firma di un accordo fra Kiev e Mosca.

Si tratta della prima vera intesa tra Russia e Ucraina dall’inizio del conflitto (il 24 febbraio), incentrata sui corridoi nel Mar Nero per l’esportazione di cereali. Ad annunciarlo è stato l’ufficio del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, grande mediatore dell’intesa, sottoscritta dalle delegazioni russa e ucraina nella sontuosa cornice del Palazzo Dolmabahce, sullo Stretto del Bosforo. Una location simbolica di grande impatto, vista la sua valenza di “finestra” su Mar Nero e Mediterraneo e di “porta” d’Europa e d’Asia, a seconda della prospettiva.

Che l’intesa fra i due Paesi in guerra e l’Onu, presente come “garante” – oltre alla Turchia come “mediatore” – fosse nell’aria si era capito sin dall’incontro di tre giorni fa a Teheran fra Erdogan e Putin, dal quale erano emersi “progressi sull’esportazione di grano ucraino”. Tuttavia, lo stesso presidente russo aveva sottolineato che qualsiasi accordo doveva comprendere anche le esportazioni bloccate di grano russo. E così è stato. Il documento è stato firmato dal ministro della Difesa russo Sergei Shoigu e dal ministro delle Infrastrutture ucraino Oleksandr Kubrakov, oltre che oltre dal dal ministro della Difesa turco Hulusi Akar e dal Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres.

L’accordo dovrebbe consentire all’Ucraina di riprendere “nelle prossime settimane” le spedizioni di cereali dal Mar Nero verso i mercati mondiali e alla Russia di esportare grano e fertilizzanti. Ponendo così fine a una situazione di stallo che ha minacciato la sicurezza alimentare globale. È prevista l’istituzione di un centro di controllo e monitoraggio a Istanbul, composto da funzionari delle Nazioni Unite, turchi, russi e ucraini, che gestiranno e coordineranno le esportazioni di grano. Le navi, alle quali sarà garantito il passaggio sicuro, saranno ispezionate per accertare che trasportino cereali e fertilizzanti e non armi. Prima della firma, la Turchia aveva infatti ricevuto garanzie dalle parti coinvolte che gli accordi sull’esportazione di grano ucraino non saranno utilizzati per scopi militari.

I corridoi saranno creati da Odessa e da altri due porti ucraini, Chornomorsk e Yuzhny. Non è prevista la scorta militare delle navi mercantili, ma le parti si impegnano a non attaccarle. Il via libera permette ora il passaggio di almeno 35 milioni di tonnellate di grano.

La svolta russo-ucraina produrrà effetti importanti per molte nazioni, fra cui l’Italia. Secondo le stime della Coldiretti, basate sui dati Istat relativi al commercio estero 2021, l’accordo di Istanbul sbloccherà l’arrivo nel nostro Paese di quasi 1,2 miliardi di chilli di mais per l’alimentazione animale, grano tenero per la panificazione e olio di girasole dall’Ucraina. Nonostante il calo dei raccolti, l’Ucraina resta uno dei principali produttori e rappresenta il 10% del commercio mondiale di frumento tenero destinato alla panificazione, ma anche il 15% del mais per gli allevamenti.

L’emergenza mondiale, evidenzia la Coldiretti, riguarda direttamente l’Italia. Il nostro è infatti tecnicamente un Paese “deficitario e importa addirittura il 62% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 46% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame”. L’Ucraina rappresenta inoltre “il nostro secondo fornitore di mais, con una quota di poco superiore al 13% (785 milioni di chili), ma garantisce anche il 3% dell’import nazionale di grano (122 milioni di chili)”. Senza dimenticare gli arrivi di ben 260 milioni di chili di olio di girasole.

“Lo sblocco delle spedizioni sul Mar Nero è importante per l’Italia in una situazione in cui – conclude la Coldiretti – senza precipitazioni rischiano di dimezzare i raccolti nazionali di foraggio e mais destinati all’alimentazione degli animali, di cui l’Italia è peraltro fortemente deficitaria. Mentre la produzione di grano tenero risulta in calo del 20%“.

Allargando l’angolo di visione al resto del globo, l’intesa ha prodotto una prima conseguenza evidente e verificabile già prima della firma. Il prezzo del frumento è tornato ai livelli precedenti l’invasione russa dell’Ucraina e il grano tenero veniva scambiato a 784,5 dollari per ogni singola unità contrattuale da 5mila staia (-2,64%) come il 16 febbraio, una settimana prima dell’attacco di Mosca a Kiev. Analoga la dinamica del grano duro (-2,32% a 841,25 dollari per 5mila staia), poco sotto la chiusura del 18 febbraio.

Sempre secondo la Coldiretti, l’accordo si rivela fondamentale per salvare dalla carestia 53 Paesi “dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione”. In altre parole, l’intesa di Istanbul può evitare l’aggravarsi della fame nel mondo, soprattutto in Africa. La crisi dell’export ha mostrato definitivamente quanto quello del Mar Nero sia un bacino cruciale per l’approvvigionamento alimentare di vaste aree del pianeta. Secondo un’analisi del Centro Studi Divulga, Russia e Ucraina rappresentano assieme poco più del 30% delle esportazioni di cereali, oltre il 16% di quelle di mais e oltre il 75% di quelle di olio di semi di girasole.

Tra gli Stati più dipendenti dalle esportazioni russe e ucraine spiccano i “vicini” Libano ed Egitto, che importano rispettivamente il 75% e il 70% dei cereali dai porti del Mar Nero. Segue lo Yemen, con poco meno del 50%. Coldiretti spiega come la situazione non sia molto diversa anche per Libia, Tunisia, Giordania e Marocco. “In molte di queste aree l’esposizione alle fluttuazioni di mercato si combina con l’incremento del costo statale dei sussidi per l’acquisto del cibo, che in questi contesti risulta una pratica molto diffusa. Il rischio è che, con l’aumento dei prezzi e delle spesa pubblica, la coperta risulti sempre più corta e fette sempre più ampie della popolazione possano restare senza protezione”.

Non a caso, prosegue la Confederazione basandosi sui dati dell’indice Fao di maggio, le quotazioni delle materie prime alimentari a livello mondiale “sono aumentate del 34% nell’ultimo anno. E a tirare la volata sono proprio i prezzi internazionali dei cereali, cresciuti del 23,2% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente”. Il blocco delle spedizioni dai porti del Mar Nero ha inoltre gonfiato l’interesse sul mercato delle materie prime agricole della speculazione che, spiega la Coldiretti, “si sposta dai mercati finanziari ai metalli preziosi come l’oro fino ai prodotti agricoli, dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta”.

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