A Venezia ‘La voce di Fantozzi’, il doc che svela Villaggio

Una risata pazzesca. Letteralmente. Una risata da pazzi e per i pazzi. E’ quella che deflagrò (l’espressione è di Alda Merini) non solo nella vita, che sembrava al termine, di una grande poetessa italiana, ma in quella di tutti gli italiani quasi 50 anni fa, molto prima dell’avvento della ‘società affluente’ (che ci avrebbe reso tutti Fantozzi ma purtroppo inconsapevoli e arroganti) e molto prima di Malaussene, il più celebre dei capri espiatori letterari, quando apparve per la prima volta Fantozzi, sottoforma di articoli e poi con un libro che darà il via ad una saga e alla costruzione di un mito (che è, come si sa, fondazione e spiegazione dell’origine di una realtà: in questo caso quella dell’italiano medio eterno perdente).

Una risata modernissima, seminale, che ebbe il suo prologo nella comicità abrasiva e scioccante dell’aggressivo (ma perdente) professor Kranz in quell’altro ’68 del sociale che fu la tv di Quelli della domenica (‘quando l’ho visto ho pensato: è cambiato tutto’, Renzo Arbore). E’ in quegli sketch ‘fuori sincrono’ rispetto alla tv pedagogica e imbrigliata della fine degli anni ’60 che riposa l’origine dell’iperrealismo lunare della Mega Ditta, dei Ricatti, delle Raccomandazioni, del Direttore Galattico, del Nepotismo e del Servilismo elevato a sistema che rappresentano l’ecosistema del mondo fantozziano. Il nostro mondo.

Per descrivere l’universo di un uomo-simbolo che è diventato un aggettivo (‘fantozziano’), Mario Sesti nel suo La Voce di Fantozzi, che passa alla mostra del cinema di Venezia, mette in campo ogni risorsa: la memoria, il ricordo gioioso ed esplosivo (è il caso di Roberto Benigni), l’analisi critica, il confronto tra pagina scritta e soluzione cinematografica, l’animazione, la musica (il sax, minaccioso e notturno come un megadirettore, di Stefano di Battista). E  chiama a raccolta chi lo ha conosciuto, chi ha lavorato con lui, chi gli deve molto in termini di ispirazione e riferimento e chi, avendolo visto molto da vicino, ne dà un giudizio per così dire ‘tecnico’ che però diventa immediatamente molto di più e ne certifica la portata rivoluzionaria. Bruno Altissimi, il suo storico produttore, dice: ‘Villaggio non si può definire un attore che faccia ridere molto. Fa fare un certo tipo di risata’. Una risata pazzesca, appunto.

Quel tipo di risata che, in fondo, fa dire anche allo spettatore del film più ‘semplice’ dei Fantozzi: ‘qui c’è poco da ridere’.

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