I Savoia rivogliono il tesoro custodito dalla Banca d’Italia

I Savoia rivogliono il tesoro che, dal 1946, è custodito in uno scrigno all’interno di un caveau della Banca d’Italia: di cosa si tratta e quanto vale

Savoia

I Savoia rivogliono i gioielli della Corona, che dal giugno del 1946 sono custoditi all’interno di uno scrigno in un caveau della Banca d’Italia. Come riporta il ‘Corriere della Sera’, nella giornata di martedì 25 gennaio 2022 è fissato il primo incontro di mediazione per parlare delle modalità di restituzione tra il legale della famiglia Savoia, cioè l’avvocato Sergio Orlandi, e i rappresentanti della Banca D’Italia, della presidenza del Consiglio e del ministero dell’Economia.

Una richiesta di restituzione dei gioielli custoditi è già stata avanzata il 29 novembre del 2021 dall’avvocato Orlandi tramite raccomandata. Ventiquattro ore dopo, il 30 novembre, gli avvocati Marco Di Pietropaolo e Olina Capolino, per conto della Banca d’Italia, hanno bocciato la richiesta replicando in questo modo: “La restituzione non può essere accolta, tenuto conto delle responsabilità del depositario”.

L’incontro del 25 gennaio è stato convocato dal mediatore Giovanni De Luca e organizzato su istanza del principe Vittorio Emanuele di Savoia e delle principesse Maria Gabriella, Maria Pia e Maria Beatrice, eredi dell’ultimo re d’Italia Umberto II. Nell’eventualità in cui non si dovesse arrivare a un accordo, come, stando al ‘Corriere della Sera’, è probabile, i Savoia potrebbero citare in giudizio lo Stato allo scopo di riavere indietro i gioielli.

Qual è il tesoro custodito dalla Banca d’Italia che rivuole i Savoia

Il tesoro custodito in uno scrigno in un caveau della Banca d’Italia su cui i Savoia vogliono rimettere le mani è composto da 6.732 brillanti e 2 mila perle, di varie misure, montati su collier, orecchini, diademi e spille.

A differenza di altri beni appartenuti ai Savoia in territorio italiano fino al 1946, la proprietà di questo tesoro è una questione attualmente ancora aperta. I gioielli, infatti, non sono mai stati confiscati, a differenza di quanto fatto e formalizzato con il resto del patrimonio dell’ex casa regnante avocato dallo Stato dopo la nascita della Repubblica italiana, come sancito dalla tredicesima disposizione finale e transitoria della Costituzione del nostro Paese.

Proprio la mancata confisca sarebbe, secondo l’avvocato Sergio Orlandi, aprirebbe la porta alla possibilità di una rivendicazione da parte dei Savoia.

Ma perché questi gioielli non sono stati confiscati? È ancora il ‘Corriere della Sera’ a ricostruire i fatti: tre giorni dopo il referendum del 2 giugno del 1946, il ministro della Real Casa Falcone Lucifero, su incarico di Umberto II (poi andato in esilio), consegnò i gioielli all’allora governatore della Banca d’Italia Luigi Einaudi, futuro presidente della Repubblica.

Nel verbale di consegna fu scritto: “Si affidano in custodia alla cassa centrale, per essere tenuti a disposizione di chi di diritto, gli oggetti preziosi che rappresentano le cosiddette gioie di dotazione della Corona del Regno”. Tale formula, come scriverà poi lo stesso Luigi Einaudi, fu studiata proprio per lasciare una porta aperta ai Savoia nel caso in cui avessero deciso di tornare in possesso dei gioielli.

L’avvocato Orlandi, come riporta il ‘Corriere della Sera’, è sicuro: “I Savoia riavranno i gioielli“.

Quanto valgono i gioielli che la famiglia Savoia rivuole?

L’altro mistero di questa vicenda riguarda il valore dei gioielli custoditi dalla Banca d’Italia, dal momento che non sono mai stati valutati ufficialmente. Qualcuno, però, li stima attorno ai 300 milioni di euro, mentre Gianni Bulgari, che li visionò negli anni Sessanta, ha ridotto la stima a qualche milione di euro.

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