Renzi, “vecchia guardia” del Pd e scontri ideologici

“Nel Pd c’è chi vuole cogliere la palla al balzo per tornare agli scontri ideologici e magari riportare il Pd del 25%. Noi no”. E’ lapidario, Matteo Renzi. Dopo aver ascoltato per giorni in silenzio le parole di fuoco della minoranza del suo partito, decide di non tacere oltre. E, all’indomani dell’attacco ai sindacati, di fronte all’intera comunità degli iscritti Pd, risponde con durezza alla “vecchia guardia” che gli si è messo di traverso sul lavoro. La resa dei conti ci sarà il 29 settembre in direzione con un voto a maggioranza che  sancirà la linea sul Jobs act ed a cui tutti si dovranno adeguare. Ma la minoranza dem non demorde, prepara la battaglia parlamentare e avverte il premier che sta svoltando a destra. “Chi oggi difende il sistema vigente difende un modello di diseguaglianze. Noi vogliamo difendere i diritti di chi non ha diritti. Quelli di cui nessuno si è occupato fino ad oggi”, ribadisce Renzi in una lettera inviata agli iscritti Pd. La minoranza del Pd ha letto la e mail di Renzi come un dichiarazione di guerra. “Dica quello che crede. Su questo piano io non mi ci metto”, replica un furioso Pier Luigi Bersani,  che legge nel messaggio di Renzi un modo per additare i compagni di partito come nemici del partito e del Paese, così come le parole contro la “vecchia guardia” che si trovava al 25% ha offeso tutto il blocco dell’opposizione al Jobs Act. Fra deputati e senatori la componente bersaniana, unita alle altre anti-Renzi, può contare su 110 dissidenti. Martedì si riuniranno, dopo il vertice che vedrà allo stesso tavolo Fassina, Cuperlo, Civati e Bindi. Pippo Civati non esclude uno scontro: “Se Renzi pensa di andare alle urne sulla riforma del lavoro credo che troverà una nuova forza di sinistra in campo. E’ uno choc, lo capisco. Ma il fantasma della scissione aleggia e non solo dalle mie parti”.   E questa volta non si parla  dei sindacati che lo hanno paragonato alla Thatcher. Si parla invece di  chi,  dal suo stesso partito,  lo accusa di essere “di destra”. A loro Renzi spiega che “essere di sinistra significa combattere un’ingiustizia, non conservarla. Davanti a un problema c’è chi trova soluzioni provando a cambiare e chi organizza convegni lasciando le cose come sono”. Il riferimento implicito ma chiaro, spiegano i renziani, è alla sinistra Pd che va ancora a braccetto con il sindacato.  Adesso è in gioco la tenuta del partito nelle Aule parlamentari e la riuscita di una riforma, quella del lavoro, essenziale per andare a chiedere e ottenere margini di flessibilità in Europa. L’obiettivo è il primo via libera del Senato entro l’8 ottobre. E il segretario-premier decide di andare allo scontro. Rispolvera il vocabolario del rottamatore e dirama la sua dichiarazione di guerra: “Siamo qui per cambiare l’Italia e non accetteremo mai di fare le foglie di fico alla vecchia guardia che a volte ritorna. O almeno ci prova”. Il premier l’ha annunciato davanti alle Camere: di fronte allo stallo non esiterà a usare l’arma del decreto. Ma lunedì 29, al ritorno da una settimana negli Usa, proverà a chiudere il cerchio sulla legge delega, chiedendo al partito unità di fronte al testo del governo e alla linea della maggioranza.  I numeri il segretario ce li ha in direzione e, assicurano dal governo, anche in Parlamento, grazie al voto favorevole già annunciato da FI. Ma, spiegano i renziani, il premier non è disposto ad accettare la fronda della minoranza Pd su una riforma così importante. Dunque, al Senato si discuterà la prossima settimana nel gruppo Pd e con gli altri partiti, ma poi il 29 Renzi detterà la linea, in nome di un mandato ricevuto dal 40,8% degli elettori. A loro, ha chiarito, non ha paura di rivolgersi neanche tornando alle urne.

Cocis

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