Ottocento milioni per sconfiggere l’epatite C

Un piano d’azione da 800 milioni di euro in dieci anni. È quello che serve per mettere fuori dalla porta del nostro Paese l’epatite C, malattia infettiva cronica che si porta dietro cirrosi, cancro al fegato, morte. È con questo ambizioso obiettivo che si è celebrata la quarta Giornata Mondiale delle Epatiti indetta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.  In pochi mesi sono arrivati sul mercato nuovi farmaci antivirali più efficaci dei farmaci oggi in uso: a differenza di questi, infatti, non garantiscono semplicemente il controllo della malattia ma la sua eradicazione. «In Italia sono potenzialmente trattabili con antivirali di ultima generazione 300-400mila pazienti. Di questi però ce ne sono circa 30 mila che avrebbero bisogno del farmaco subito, perché hanno una cirrosi avanzata ma non ancora così grave da non avere più alcun beneficio dalla terapia», ha spiega Antonio Gasbarrini, epatologo e docente di Gastroenterologia del Policlinico Gemelli di Roma e tra i fondatori di Alleanza contro l’Epatite. «Siamo di fronte a una rivoluzione epocale. Farmaci così innovativi arrivano una volta ogni trent’anni: con l’arrivo di questi nuovi antivirali una malattia prima ineradicabile quale è l’epatite C diviene ora eliminabile; l’impatto a livello di salute pubblica è enorme e  può generare fortissimi risparmi». È sempre più stringente dotarsi di un piano nazionale, ha aggiunto il presidente dell’Associazione pazienti Epac Ivan Gardini, perché stanno arrivando nuovi super farmaci per la cura dei pazienti con HCV, ma non ci sono le coperture finanziarie adeguate, e il piano non serve solo a garantire l’accesso ai farmaci, ma anche a pianificare strategie di prevenzione e screening. Un piano, se fatto bene e gestito da persone competenti, permette di ottimizzare al meglio le risorse del SSN e di non sprecare neppure un euro. Le cose da fare non mancano, a partire da un censimento dei pazienti, non solo numerico ma per gravità di malattia che permetta di comprendere quanti sono i pazienti più urgenti da curare e quindi stimare i reali costi da sostenere nei prossimi 5-10 anni. Poi serve definire dei percorsi diagnostico-terapeutici uguali per tutte le regioni onde impedire difformità di accesso su base regionale e locale. Ma l’aspetto più importante resta lo stanziamento immediato dei fondi per le cure, almeno 800 milioni di euro per i prossimi dieci anni.

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