Mesdames et Messieurs, rinasce l’inchino

Rinasce l’inchino, atto formale, aristo-elitario con i suoi codici, saldamente ancorato ad un rituale antichissimo. Un gesto di devozione, di rispetto, di ossequio. Un gesto tradizionale che si tramanda nei secoli. Nato nel Medioevo, glorificato alla corte di Versailles nel XVIII secolo e oggi in quella di Saint James.  Ginocchia piegate, il destro si protende in avanti, il sinistro si genuflette leggermente, il busto retto, un leggero inchino del capo, non si toglie lo sguardo dalla persona che si ha davanti. Non è facile fare l’inchino. Richiede pratica, destrezza e scioltezza, una certa agilità. Un tempismo e un equilibrio non indifferenti. L’inchino è una arte e un tempo le giovani fanciulle appartenenti all’aristocrazia o all’upper class si iscrivevano a veri e propri corsi. Se oggi sopravvivono re e regine, granduchi e granduchesse è pur vero che a partire dalla seconda guerra mondiale non esistono più le corti, come un tempo. Forse oggi l’ultima ‘grande révérence’ è praticata solo durante il ballo delle debuttanti. Eppure la storia dell’inchino risale a tempi remoti. La sua prima apparizione nel Medio Evo, ma era già in voga nell’antico Egitto e in Persia, dove era uso prostrarsi a terra dinanzi al signore o all’imperatore. ‘Un vero e proprio rituale nel Medioevo, l’inchino. Regole non scritte ma in uso tra la società cortese. L’inchino della dama, per esempio, al suo cavaliere prima che la musica desse inizio alle danza. Ci sono poi, alle corti italiche e francesi, le giostre, i tornei. Prima di cominciare a ‘combattere’ ci si rivolgeva alla propria amata, di cui spesso si indossavano i colori, uno sguardo, un inchino e la sfida era aperta. Eppure un tempo l’inchino era riservato esclusivamente alle donne. Per motivi di banale praticità. Era più semplice far ‘piegare’ un abito, che un armatura realizzata, spesso, in ferro battuto. Ma è Versailles il cuore pulsante di un cambiamento epocale sulla ‘révérence’ che si trasforma negli anni in codice comportamentale. Quando un’aristocratica veniva presentata a corte, al re e alla regina, era obbligata a fare l’inchino. Nelle sue memorie scrive la baronessa l’Oberkirck: ”Quando fui presentata a corte feci i tre inchini, come da protocollo. Momento solenne, indimenticabile anche perché ci sono moltissime persone che vi guardano, vi scrutano. C’è sempre il timore di non essere all’altezza, di essere goffi, ridicoli’. Cambia la società, come la moda per le donne, si evolve, si esemplifica. Spariti i grandi imperi, oggi l’inchino rimane una sorta di rituale protocollare all’interno delle corti europee e non solo. Vedi la perfetta ‘révérence’ eseguita dalla neo first lady francese Carla Bruni Sarkozy dinanzi alla regina Elisabetta d’Inghilterra’. Non c’è nulla di codificato nell’inchino. Un gesto simbolico che traduce il rispetto profondo nei confronti nell’altro.

Circa Roberto Cristiano

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