Dopo aver cancellato l’articolo 18, introdotto i contratti a tutele crescenti, smantellato il diritto del lavoro con il Jobs Act e regalato 18 miliardi di sconti contributivi agli imprenditori, la politica occupazionale del governo Renzi-Gentiloni-Poletti ha prodotto una riduzione del 5,5 per cento di contratti a tempo indeterminato, l’aumento del 23 per cento dei contratti a tempo determinato e del 116,8 per cento di quello a chiamata.
I dati dell’Inps non lasciano spazi all’ottimismo. Chi pensava che con una maggiore libertà di licenziamento, con contratti a tempo indeterminato annacquati con la cancellazione dell’articolo 18, si producesse il miracolo di una favolosa impennata dei tassi di occupazione, che nel frattempo restano tra i più bassi d’Europa, è stato smentito. Al contrario chi riteneva che non è con una legge che si crea lavoro ma con gli investimenti produttivi e leggeva i dati del primo anno di vigenza delle riforme renziane attraverso la lente di ingrandimento della decontribuzione, ha ricevuto solo l’inevitabile conferma che gli imprenditori italiani non sono interessati ai contratti a tutele crescenti preferendo quelli a garanzie inesistenti; non si accontentano dell’indeterminatezza temperata ritenendo più opportuna la precarietà garantita. Se poi arriva qualche beneficio economico, a quel punto si riapre il rubinetto.
Forse sarebbe opportuno cambiare registro e puntare a utilizzare quei quattrini per aiutare veramente l’economia, cioè destinandoli a impieghi produttivi. Renzi continua a ribadire il suo sostegno al premier in carica Gentiloni e a rassicurare i suoi che il governo arriverà a fine legislatura.
Le ultime rilevazioni sondaggistiche continuano a dare il Pd in picchiata con un crollo verticale in corso d’opera da ben 8 settimane consecutive che a largo del Nazareno non possono ignorare.
Come riporta il sito dell’Agi il Pd continua a calare nelle intenzioni di voto e si trova al 26,9%. Il dato odierno non è troppo più basso rispetto a quello della scorsa settimana, ma in un mese è calato di quasi un punto e mezzo.
L’affaire Ius soli, culminato nello schiaffo di Gentiloni al segretario dem, e risuonato con il ritiro del disegno di legge e il suo inevitabile rinvio a data da destinarsi, lo confermano una volta di più.
Un quadro che non può non incidere su credibilità e consensi che è attestata a suon di numeri e sondaggi.