Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella rivolge il suo indirizzo di saluto in occasione della cerimonia "Palermo chiama Italia. Riprendiamoci i nostri sogni", nel 23/mo anniversario delle stragi di Capaci e di Via d'Amelio, promossa dalla Fondazione "Giovanni e Francesca Falcone". ANSA/ PAOLO GIANDOTTI/ UFFICIO STAMPA QUIRINALE - HO NO SALES EDITORIAL USE ONLY

Mattarella a Palermo ricorda Giovanni Falcone: ‘Proseguiamo la sua battaglia’

 Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, dall’Aula bunker dell’Ucciardone a Palermo ha dato ieri inizio alla cerimonia dell’anniversario della Strage di Capaci. Mattarella è stato accolto con l’urlo di un gruppo di ragazzi: “Presidente, Presidente…”, e si è fermato per fare delle foto con dei bambini che gli hanno consegnato dei disegni. “I nomi, i volti, gli esempi di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino sono indissolubilmente legati dal comune impegno e dai valori che hanno testimoniato e dalla coraggiosa battaglia, per legalità e democrazia, che hanno combattuto, affidando a tutti noi il compito di proseguirla. Le immagini dell’attentato di Capaci resteranno per sempre impresse nei nostri occhi, come nel primo momento, così come quelle, altrettanto sconvolgenti, di via D’Amelio”, afferma in occasione del XXIII anniversario delle stragi di Capaci e di Via d’Amelio. “Noi siamo qui, anzitutto, per dire che la mafia può essere sconfitta. Siamo qui per rinnovare una promessa: batteremo la mafia, la elimineremo dal corpo sociale perché è incompatibile con la libertà e l’umana convivenza. Falcone sapeva bene che la repressione penale era indispensabile e che doveva essere molto più efficace e adeguata, per riaffermare il primato dello Stato: nella partita tra Stato e anti-Stato va sempre messo in chiaro che lo Stato alla fine deve vincere. Senza eccezioni”. La ventitreesima commemorazione di Giovanni Falcone e delle vittime di Capaci è stata molto significativa anche per le manifestazioni di “Palermo chiama Italia”, organizzata dalla “Fondazione Giovanni e Francesca Falcone”, con una miriade di scuole e associazioni antimafia collegate con l’aula bunker dell’Ucciardone, e che è stata un motivo di grande soddisfazione per Maria Falcone, sorella di Giovanni, alla guida della Fondazione. Maria Falcone ha privilegiato le piazze per riaccendere l’attenzione sull’antimafia: “C’è una sola antimafia buona. Quella dei ragazzi, degli insegnanti impegnati da anni. Se degli individui approfittano del palcoscenico per affari personali sono solo soggetti che strumentalizzano valori comunque da difendere. Tenere alta la guardia è il problema di sempre. Parlo della voglia delle Istituzioni di combattere il malaffare. La lotta alla mafia deve essere una costante, ma in questo momento non sembra il tema principale del Paese e del governo. Lo dico perché la mafia può approfittare di una tensione minore. E lo dico perché nel dopo-stragi abbiamo acquisito una capacità di reazione che ha fatto di questa lotta in Italia un esempio per tutti. Da un punto di vista investigativo e giurisprudenziale siamo i primi. Il vero contrasto va fatto anche dal punto di vista economico. Su questo una vera lotta alla mafia potrebbe essere d’ausilio, cominciando per esempio a utilizzare i beni confiscati alle mafie che sfiorano i 50 miliardi di euro. Istituire un comitato capace di gestire sul serio questo ingente patrimonio. Non solo assegnando edifici e terreni a enti e associazioni, ma creando ricchezza, nuovi posti di lavoro. Occorre un manager alla guida, non un prefetto o un burocrate. Né il problema può essere costituito dal luogo in cui ha sede l’agenzia dei beni confiscati. Reggio Calabria, Palermo o Milano è lo stesso. Il problema non è dove sta, ma che cosa fa”. Ai giornalisti che le chiedevano le ragioni della scelta di trasferire nella chiesa di San Domenico la salma del fratello, separandola da quella della moglie Francesca Morvillo, morta nell’eccidio, ha riposto: “Francesca ne sarebbe felice. Noi abbiamo scelto di privilegiare l’immagine pubblica di mio fratello perché ne resti un esempio nel tempo, della lotta a Cosa nostra”. Per non dimenticare la strage di Capaci anche Expo ha celebrato ieri il “No Mafia Day” che si è svolta presso il Cluster del Biomediterraneo, che raggruppa 14 Comuni siciliani in collaborazione con l’Assessorato all’Agricoltura della Regione Sicilia. La mafia, secondo la ricerca del Censis, blocca lo sviluppo delle aree in cui è insediata e non dà lavoro come purtroppo si tende a credere nelle zone a rischio. Si tratta di uno zavorramento non solo della Sicilia e del Mezzogiorno, ma di tutta Italia. Il nostro Paese, infatti, afferma Gian Carlo Caselli, ex procuratore capo di Torino, perde all’anno circa 7,5 miliardi di euro e 185 mila posti di lavoro. Se non ci fosse la mafia il pil del Sud sarebbe pari a quello del Nord. Occorre un recupero del reddito attraverso la legalità, che è la strada per arrivare ad una giustizia sociale più equa che non dia spazio alla sperequazione. La mafia da combattere con la repressione attraverso i processi con lo sviluppo di una cultura della legalità. I risultati che può dare la legalità sono in termini di frutti all’antimafia se si pensa che le cosche mafiose si rivolgono alle istituzioni per accumulare ricchezza. Il condizionamento delle mafie sul sistema economico si rileva anche nel sistema agroalimentare italiano e liberarci dalle agromafie significa rendere più liberi i produttori. La manifestazione No Mafia Day ha visto la presenza di Maurizio Martina, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali per ricordare la stagione dell’impegno civile contro le agromafie nel contesto di Expo a Milano.

Roberto Cristiano

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