Lotta alla bandiera nera dell’Isis

La “bandiera nera” dello Stato Islamico è à la mode, è attraente e rappresenta un tratto identitario, un mezzo per chi è alla ricerca di una realizzazione personale. Molti giovani giudicano addirittura l’esperienza con l’Isis un viaggio avventuroso e qualcosa da raccontare per tutta la vita. Religione e dottrina islamica fondamentalista hanno un ruolo marginale nel processo di radicalizzazione. I moderni foreign fighters possono persino definirsi un prodotto della globalizzazione, la moschea come luogo di aggregazione ha lasciato il posto ai social network dove si concretizza la propaganda e la conoscenza diretta. Seguaci di Allah e di Instagram allo stesso tempo. Tra gli aspetti che destano maggiore preoccupazione c’è senza dubbio l’abbassamento dell’età dei soggetti reclutati e sollecitati all’azione e si tratta di giovani vulnerabili, spesso nel bel mezzo di un processo evolutivo caratterizzato da dinamiche di marginalizzazione o auto esclusione dalla società in assenza di concrete prospettive future. Purtroppo anche condurre in carcere questi soggetti può comportare dei rischi, bisogna infatti tenere in considerazione che le carceri sono incubatori di una massiccia radicalizzazione ed è pertanto necessario prevedere adeguati programmi di monitoraggio sulla presenza musulmana all’interno degli istituti di pena. Da questo punto di vista il decreto anti-terrorismo, approvato ultimamente, già pone le basi per un monitoraggio di questi soggetti e della loro radicalizzazione criminale all’interno delle carceri e darà sempre maggiori frutti in futuro. Nella diffusione del fondamentalismo religioso, che utilizza molteplici canali e non ultimo quello digitale, c’è un ribaltamento dell’universo valoriale delle società occidentali che trova, evidentemente, anche da noi terreno fertile. Per questo, se da un lato non è più procrastinabile un’iniziativa internazionale contro il terrorismo fondamentalista, dall’altro è necessaria una vera e propria offensiva culturale. L’arretramento rispetto ai nostri valori, in virtù di un malinteso concetto di multiculturalismo e integrazione, rischia infatti di aprire la strada al contagio dell’odio. L’altro fattore che emerge è il rischio di radicamento territoriale del fondamentalismo. Una circostanza che non può non suscitare una seria reazione della politica, anche locale, a supporto del già eccellente lavoro delle Forze dell’Ordine. Con modalità differenti, nuovi metodi di combattimento e diverse strategie, bisogna ormai prendere atto che è in corso quella che potrebbe definirsi una Terza guerra mondiale. Una guerra asimmetrica combattuta da eserciti che in alcuni casi non sono riferibili a degli Stati esistenti, un conflitto che investe porzioni di territorio indefinite e in cui a rischiare la vita ci sono anche i civili, così come accaduto lo scorso tragico 26 giugno. È una guerra che l’Occidente non può combattere, così come accadeva in passato, con propri eserciti e con azioni militari convenzionali. Molto lavoro e molte sollecitazioni sono invece sulle spalle di intelligence e Forze dell’ordine che in questi mesi, grazie a professionalità e dedizione alla causa, stanno portando avanti dei compiti eccezionali.

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